FRANCOFORTE (WSI) – Nonostante l’inflazione non desti alcuna preoccupazione e la ripresa continui ad essere stantia, la Banca centrale europea ha lasciato i tassi di interesse invariati allo 0,25%, il mimimo dalla nascita della moneta unica.
È il secondo mese di fila che i tassi vengono lasciati allo 0,25% dopo il taglio di un quarto di punto apportato in novembre. Tutti e 51 gli economisti interpellati da Bloomberg si aspettavano una simile decisione. Il tasso sui depositi è rimasto allo zero e quello sugli interessi marginali allo 0,75%. Se le attese sono state rispettate, dall’altro le parole del banchiere centrale hanno schiacciato la moneta unica che in mezz’ora è arrivata a perdere anche l’1%.
Tra credit crunch, rischio deflazione e supereuro, Mario Draghi è sotto pressione. Con una ripresa fragile dell’economia dell’area, il banchiere italiano dovrà trovare un equilibro tra le sue promesse di allentamento monetario e l’assicurazione che la liquidità fornita non verrà usata solo per colmare i buchi di bilancio nei capitali delle banche, bensì anche per alimentare i prestiti a famiglie e imprese.
Draghi, che vede pressioni sui prezzi basse per almeno due anni, ha rinnovato l’impegno a usare tutti gli strumenti a disposizione, ma non ha avuto il coraggio di intraprendere nuove misure. Una dichiarazione che ha lasciato interdetti alcuni osservatori e penalizzato l’euro, che ha subito un calo temporaneo di anche 100 punti base durante la conferenza stampa del banchiere.
“La Bce ha specificato che anche se tutti gli strumenti necessari sono pronti per essere resi operativi, al momento non sente l’urgenza di metterli in atto”, ha dichiarato a ‘Bloomberg’ Nick Kounis, head of macro research presso ABN Amro Bank NV. “È una presa di posizione notevole, tenuto conto che l’inflazione resterà bassa per un bel po’ di tempo”.
In un’area euro in cui la disoccupazione resta “elevata”, secondo Draghi “è necessario portare avanti riforme dei mercati dei prodotti e del lavoro” che favoriscano competitività, più crescita e creazione di occupazione.
Nella conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo, il banchiere romano ha sottolineato che la Bce agirà nuovamente contro la bassa inflazione prevalentemente in due casi: un eventuale inasprimento delle condizioni del mercato monetario o un peggioramento, in senso di ulteriore indebolimento, delle prospettive dei prezzi al consumo.
Draghi ha riconosciuto che l’istituzione oggi ha “usato parole più determinate” nella sua retorica su questo versante. Tuttavia ha precisato che il quadro attuale dei dati risulta ancora accettabile.
TUTTO FERMO ANCHE IN INGHILTERRA
Analoga la decisione presa dalla Banca d’Inghilterra, che ha mantenuto lo status quo. Secondo gli analisti della banca Berenberg, ora che il mercato del lavoro britannico si è stabilizzato, l’istituto centrale di riferimento dovrebbe lentamente abbandonare la sua guidance sui tassi di interesse.
I mercati europei continuano la loro seduta positiva. Sono due i fattori che potrebbero spingere la Bce ad agire nuovamente: una inavvertita stretta dei mercati monetari a breve termine e un ulteriore revisione al ribasso delle previsioni sull’inflazione.
Dopo che l’inflazione core è scesa allo 0,7% (il CPI non è lontano, allo 0,8%) in dicembre, è cresciuta di numero la fazione di investitori convinti che sia necessario un interventismo da parte della Bce. I prezzi al consumo dell’Eurozona sono rimasti sotto la soglia del 2% per 11 mesi di fila.
Secondo gli analisti di FXCM “siamo in estremo ritardo rispetto ai tagli che avremmo dovuto vedere tempo addietro ed abbiamo timore che pur di fronte ad eventuali decisioni la situazione sia molto difficile da recuperare”.
L’economista di Nomura Nick Matthews scommette che Draghi ribadirà di essere pronto ad agire in caso di bisogno, senza però mettere il piede sull’acceleratore delle misure di allentamento monetario o di sostegno alle banche come il programma LTRO di prestiti per tre anni a tassi vantaggiosi.
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di Tonia Mastrobuoni – La Stampa
La Banca centrale europea ha «sottolineato con forza» che la politica monetaria rimarrà accomodante per tutto il tempo necessario. E, a fronte di uno scenario di inflazione bassa «per un prolungato periodo di tempo» nell’eurozona, Mario Draghi ha posto l’accento con vigore sull’impegno a mantenere i tassi ai livelli attuali – lo 0,25%, riconfermato oggi – o addirittura più bassi, per un lungo periodo di tempo – confermando così la cosiddetta “forward guidance” adottata in autunno.
Nella consueta conferenza stampa al termine del consiglio direttivo di inizio mese, pur senza annunciare nuove misure straordinarie, il presidente della Bce ha tracciato un quadro talmente cauto, ai limiti del pessimismo, sull’andamento dell’economia, da giustificare toni molto aggressivi sulle misure straordinarie che potrebbero essere intraprese in futuro per non comprometterla. Draghi ha usato un linguaggio, si dice in gergo, da «colomba» che promette una politica monetaria espansiva e molto reattiva. Ha detto che l’Eurotower «è pronta ad usare qualsiasi strumento consentito dai Trattati».
È «prematuro», però, sostenere che la crisi europea sia finita: la ripresa mostra «rischi al ribasso dovuti a fattori politici, geopolitici, finanziari» e resterà debole sia per quest’anno sia per il prossimo; e l’inflazione rimarrà al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento per «almeno due anni». Una dinamica che giustifica l’attuale quadro emergenziale di politica monetaria: Draghi ha ripetuto con forza che il mandato della Bce è garantire i target di inflazione «in entrambi le direzioni»: significa che per i guardiani dell’euro l’andamento dei prezzi al consumo non deve salire, né scendere troppo al di sotto del limite del 2 per cento.
Tuttavia, ha aggiunto il presidente della Bce, il dato allarmante di dicembre – l’inflazione dell’eurozona si è attestata a un debolissimo +0,8% – è dovuto ad un dettaglio tecnico che riguarda la Germania: a gennaio l’andamento dei prezzi dovrebbe tornare a livelli più bilanciati. E Draghi è tornato anche a respingere analogie tra l’Europa e la devastante deflazione che ha colpito il Giappone a partire dagli anni 90: «il quadro è diverso», sostiene, anche in virtù «delle misure intraprese dalla Bce». Ma un altro numero che preoccupa Draghi è quello della disoccupazione, che nel Vecchio continente «resta alta».
A una domanda su come verranno considerati i titoli di Stato nell’imminente esame dei bilanci delle banche (Asset quality review), il presidente della Bce ha ribadito che non saranno considerati un fattore di rischio; diverso, però, il discorso per gli successivi stress test che la Bce condurrà assieme all’Autorità bancaria europea Eba, ma anche nella futura vigilanza europea che dovrebbe partire da novembre, ha puntualizzato.