Le banche centrali restano sotto i fari dei mercati finanziari. In particolare, l’attenzione resta concentrata sulla Federal Reserve, che questa settimana diffonderà le decisioni di politica monetaria. L’appuntamento è atteso al termine della due giorni di meeting, in calendario martedì 30 aprile – mercoledì 1 maggio.
Cosa attendersi
Secondo quanto indica l’andamento degli swap, un taglio dei tassi di interesse da parte della Fed non ci sarà prima di dicembre. Questo per prendere atto non solo della frenata dell’economia ma anche dalla presenza di persistenti pressioni inflazionistiche.
La settimana scorsa, i dati sul Pil hanno infatti mostrato un rallentamento nel primo trimestre, mentre l’indicatore dei prezzi delle spese per consumi personali (l’indicatore chiave considerato dalla Fed per misurare l’inflazione) ha segnato un’accelerazione nel mese marzo, in linea con le attese.
Servirà dunque più tempo per riportare l’inflazione all’obiettivo del 2%. Ecco perché ora il mercato crede che la Jerome Powell si muoverà nel senso di una riduzione dl costo del denaro non prima delle elezioni di novembre, facendo così anche uno sgarbo a Biden che non potrà andare alle elezioni con un costo del denaro più favorevole.
Secondo gli analisti di Schroders , dopo i dati sull’inflazione di marzo, è difficile dire se l’allentamento si materializzerà quest’anno. “Eventuali tagli saranno subordinati all’esistenza di prove decisive che l’inflazione sta convergendo verso l’obiettivo. Ciò non solo richiederà un indebolimento dell’inflazione sequenziale, ma dipenderà anche dal raggiungimento di un migliore equilibrio delle condizioni del mercato del lavoro”.
Un altro fattore che potrebbe ritardare eventuali tagli dei tassi, spiegano gli esperti – è una significativa escalation della situazione in Medio Oriente.
“Uno degli scenari di rischio ipotizzati nelle nostre ultime previsioni economiche riguardava lo scoppio di un conflitto nella regione, in grado di impattare sui Paesi occidentali”.
Le elezioni americane potrebbero poi incidere su tempistica e portata dell’allentamento:
“La bilancia dei rischi è chiaramente orientata verso meno tagli e più tardivi. Anche se l’evoluzione dei dati sarà il fattore determinante, non scartiamo la possibilità che le elezioni del 5 novembre possano influenzare tempistica e portata di un eventuale allentamento. Ad esempio, il FOMC potrebbe attendere fino alla riunione di dicembre per tagliare i tassi di 50 pb o mantenerli invariati, a seconda che si preveda o meno che l’esito elettorale abbia un impatto significativo sulle prospettive economiche. Esiste anche una discreta probabilita’ che il FOMC non allentera’ affatto la politica monetaria quest’anno”.
Gli effetti sulle altre banche centrali
Il problema è che il rinvio del taglio ai tassi da parte della Fed sta spingendo un po’ più in là tutte le azioni. La Bce si dice indipendente dalle mosse americane, ma fino può staccarsi dalle sue decisioni?
Se è vero che il taglio di giugno è ormai dato per scontato, se si prendono le stime di Bloomberg Economics si vede che Fed, Bce e Banca d’Inghilterra prevedono riduzioni del costo del denaro di soli 575 punti base entro la fine del 2025. In altre parole, taglieranno meno della metà di quanto innalzato.
Christine Lagarde, presidente della BCE, ha affermato che le azioni della BCE sono “guidate dai dati” e non dipendono in alcun modo dalla Fed. Anche il membro portoghese del Consiglio Direttivo della BCE, Mario Centeno, ha sottolineato che la banca centrale di Francoforte “non guarda agli Stati Uniti”. Ma ci sono altre voci più critiche nel Consiglio Direttivo.
“Troverei difficile se ci allontanassimo troppo dalla Fed”, ha dichiarato Robert Holzmann, governatore della banca centrale austriaca. “Se la Fed non taglierà i tassi quest’anno, trovo difficile immaginare che noi li taglieremo tre o quattro volte”. Anche Bostjan Vasle, governatore della Banca di Slovenia, è cauto. “La situazione economica degli Stati Uniti è attualmente diversa da quella dell’eurozona”, ha detto, ed è quindi “logico che anche la risposta di politica monetaria sia diversa”. Ma questa divergenza ha i suoi limiti”. Boris Vujcic, della banca centrale croata, è dello stesso avviso: “Più a lungo esiste un potenziale divario tra noi e la Fed, più è probabile che abbia un impatto”.