È morto questa mattina, 22 novembre, all’età di 67 anni Roberto Maroni. Lo storico esponente della Lega Nord e numero due di Umberto Bossi lottava da tempo contro una grave malattia. “Questa notte alle 4 il nostro caro Bobo ci ha lasciato. A chi gli chiedeva come stava, anche negli ultimi istanti, ha sempre risposto ‘bene’. Eri così Bobo, un inguaribile ottimista. Sei stato un grande marito, padre e amico”. Queste le parole scelte dalla famiglia per annunciare la sua morte. “Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immortalità, o meglio, è sostanza divina (Emily Dickinson). Ciao Bobo”, si conclude il messaggio.
Una vita nel Carroccio, Maroni è salito alla guida del partito tra il luglio 2012 e il dicembre 2013, negli anni di transizione della Lega dall’era Bossi a quella Salvini. “Grande segretario, super ministro, ottimo governatore, leghista sempre e per sempre. Buon vento Roberto”, scrive di lui sui social Matteo Salvini.
Chi era Roberto Maroni
Nato a Varese il 15 marzo 1955, sposato, due figli, Maroni ha dedicato tutta la vita alla politica. Con Umberto Bossi, che incontrò nel 1979, ha condiviso gli inizi della Lega Nord: “lui è il papà della Lega, io ne sono la mamma”, spiegava. Perché da quel giorno la politica diventò il suo lavoro, mentre il calcio e la musica restarono solo passioni.
Tra gli 80 leghisti che rappresentarono per la prima volta la Lega in parlamento nel 1992, poi è diventato ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio nel 1994, ministro del Lavoro nel 2001 e ancora ministro dell’Interno nel 2008 sempre con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio, per chiudere infine la sua carriera nelle istituzioni come presidente della Regione Lombardia dal 2013 al 2018. Aveva annunciato la sua candidatura per diventare sindaco di Varese ma la malattia lo ha costretto a rinunciare un anno fa, nel 2021, quando ha si è ritirato dalla politica attiva.
Nel 2004, durante il secondo Governo Berlusconi, da ministro del Lavoro, Maroni firmò una riforma delle pensioni, che prende il suo nome e e che si poneva l’obiettivo di ridurre, per quanto possibile, la spesa pensionistica. La prima e principale leva cui si ricorse per portare maggiore ordine nei conti fu, ovviamente, il ritocco e l’innalzamento dell’età pensionabile. Nel dettaglio, la legge delega 243/04, lasciando invariato il requisito contributivo di 35 anni, modificò l’età minima per accedere alla pensione di anzianità, spostandola da 57 a 60 anni dal 2008, a 61 dal 2010 e a 62 dal 2014.