Alitalia ha fatto nuovamente crac e stavolta sarà dura trovare un salvatore. Come troverà investitori privati disposti a pagare e scommettere nel gruppo dopo l’ennesimo fallimento industriale? Per chi ha prenotato un volo con Alitalia, la compagnia ha detto che continuerà a essere operativa anche dopo il ricorso all’amministrazione straordinaria. Ma il futuro dell’azienda è quanto mai incerto.
Secondo l’analista del settore aereo spaziale Jonathan Wober, del Centro di Aviazione CAPA, la situazione non è buona. “Il governo è stato molto chiaro: non faranno un investimento. Intanto gli azionisti dicono che non vogliono mettere più un soldo, senza prima avere l’ok dei dipendenti al piano industriale di ristrutturazione”.
Il tutto mentre le società rivali più attrezzate aspetteranno prima di intervenire. Prima di farlo “vorranno probabilmente vedere se Alitalia implode da sola, in modo da poter occupare il vuoto lasciato dal gruppo“. Insomma, per Alitalia questa volta non ci saranno né cavalieri bianchi dell’ultima ora disposti a salire in sella, né grandi salvataggi pubblici orchestrati da un governo dallo spirito patriottico.
A tal proposito salta subito alla mente il piano di bailout del 2008: allora la compagnia aerea è risorta dalle ceneri del suo 60enne gruppo predecessore grazie alla fusione con la concorrente Air One, in un progetto che fu finanziato da un consorzio di banche italiane e orchestrato dall’azionista di maggioranza, il Tesoro, che fino all’ultimo si è battuto perché il brand rimanesse italiano.
Da allora Alitalia ha perso quasi 3 miliardi di euro e il governo italiano non detiene più una quota di maggioranza. Il piano industriale promosso dal governo, che avrebbe sbloccato 2 miliardi di euro da parte del primo azionista Etihad e da un gruppo di imprese italiane, tra cui UniCredit e Intesa SanPaolo, che detengono il 51% del capitale, è stato respinto da lavoratori e sindacati, spingendo i dirigenti a fare ricorso all’amministrazione straordinaria.
Renzi vuole che rimanga italiana, sonda emiro Qatar
Dopo il flop del piano di ristrutturazione, il premier Paolo Gentiloni e i suoi ministri hanno ribadito in più di un’occasione che non intendono nazionalizzare di nuovo la compagnia, mentre UniCredit ha riferito il mese scorso di aver perso circa 500 milioni di euro per via del suo coinvolgimento nel consorzio che salvò la Compagnia Aerea Italiana all’epoca del bailout di nove anni fa.
Non offre un incoraggiamento per eventuali acquirenti interessati ad Alitalia nemmeno il tentativo fallito di Etihad Airways, il grande gruppo internazionale di Abu Dhabi, di contenere le perdite di Alitalia dopo essere entrata nel capitale azionario con una quota del 49% nel 2014 e dopo aver iniettato più di un miliardo di euro. L’ex premier Matteo Renzi, fresco di nomina alla segreteria del PD, partito al governo, vorrebbe che il governo mantenesse una quota statale e ha anche sondato l’emiro del Qatar. Per riuscirci ha ipotizzato di chiedere l’intervento di Invitalia, Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa. Secondo le ricostruzioni della stampa italiana, Gentiloni è tuttavia scettico.
Una cosa è certa: se ne andranno altri soldi dei contribuenti italiani, utili a finanziare il prestito ponte da 600 milioni di euro concesso ad Alitalia che ha appena fatto ricorso all’amministrazione controllata. Il denaro finirà nelle casse di UniCredit, Intesa SanPaolo e Poste italiane (maggiori azionisti della compagnia). Ieri il governo ha approvato il piano per una linea creditizia pubblica della durata di sei mesi per la compagnia area. Ma il prestito ponte è solo una soluzione provvisoria di emergenza.
La compagnia soffre anche ormai di una cattiva reputazione. Oggi sulle pagine de Linkiesta una ex hostess racconta dei turni di lavoro difficili e delle condizioni non ideali. Nell’amara testimonianza, in cui si citano “turni disumani all’alba, straordinari oltre la mezzanotte, pressioni su pressioni, continui cambi di procederete e piedi deformati”, l’ex dipendente si augura il fallimento della società una volta compagnia di bandiera e orgoglio nazionale.