ROMA (WSI) – Sembra avere tutte le caratteristiche di un monito la dichiarazione della Bce sui conti pubblici dell’Italia. Monito rivolto più che altro all’ Unione europea, che sarebbe stata forse troppo indulgente nei confronti dell’Italia.
Nel bollettino della Bce, si legge infatti che il giudizio dell’Europa sui conti pubblici dell’Italia “non ha tenuto in considerazione, in merito alla regola sul debito, del fatto che le precedenti mancanze in materia di risanamento di bilancio rappresentassero un fattore aggravante”. In particolare non sarebbe stato calcolato in “modo esauriente l’impatto dei fattori rilevanti per assicurare che eventuali discrepanze rispetto alla regola del debito fossero pienamente spiegate”.
L’Ue ha peccato di troppa indulgenza nei confronti dell’Italia?
Il monito, in realtà, deve essere considerato nell’ambito del richiamo più generale della Bce, che afferma che esiste un elevato rischio che “diversi paesi” non rispettino le regole sui debiti che sono state stabilite dalle autorità europee.
La Bce ricorda che è fondamentale “trovare un equilibrio tra il calo di un debito elevato e il bisogno di non ostacolare” la crescita dell’economia. Tuttavia, lo stesso istituto avverte anche che è fondamentale “rispettare sempre a pieno” quanto è stato fissato dal Patto di stabilità e di crescita.
“I paesi che dispongono di margini di manovra sui conti pubblici fanno bene a utilizzarli. Tuttavia, i paesi dove tale margine è ormai esaurito, devono continuare ad attuare le misure necessarie tenendo presente l’esigenza di una piena conformità al Patto, e contrastando così i rischi sulla sostenibilità del debito”. In questo modo, afferma la Bce nel suo bollettino, gli stessi paesi possono rafforzare la loro capacità di resistere a eventuali “shock futuri”.
BCE in conflitto tra l’esigenza di rimettere in riga i paesi che forse stanno chiedendo troppa flessibilità all’Ue e il bisogno comunque di spronare la crescita europea anche con la leva fiscale. Due obiettivi, che tuttavia richiedono interventi opposti nella loro natura. Proprio lo scorso 9 giugno, parlando in occasione del Forum economico di Bruxelles, Draghi ha lanciato un monito sull’adozione di politiche fiscali basate eccessivamente sull’aumento delle tasse, più che dai tagli alla spesa.
“La politica fiscale è stata caratterizzata da una fase di contrazione per diversi anni, in Eurozona, a causa della perdita di fiducia nei debiti sovrani nel 2010, e l’effetto negativo sulla crescita è stato esacerbato dal fatto che in alcuni paesi il consolidamento è avvenuto principalmente attraverso l’aumento delle tasse, invece che con i tagli alla spesa. Tale situazione ha spostato il peso della stabilità macroeconomica sulla politica monetaria”.
Draghi ha risposto così alle minacce della Germania, contraria non solo a manovre di politica monetaria espansiva, ma anche a manovre di politica fiscale espansiva, e ossessionata dalla riduzione del debito.
Agli inizi di maggio, in una lettera inviata all’Italia, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis e il commissario agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici si sono rivolti al ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, scrivendo che la Commissione Ue ha reso nota l’intenzione di concedere tutta la flessibilità di bilancio richiesta dal governo Renzi, pari a 0,85 punti percentuali di PIL (14 miliardi di euro).
L’Ue ha parlato anche di una flessibilità senza precedenti, che non è stata mai accordata prima a nessun altro paese. La flessibilità è stata accordata con condizioni precise da rispettare.
E la Bce oggi sembra aver voluto ricordare all’Italia di non abusare eccessivamente dell’indulgenza di Bruxelles. O a Bruxelles di non rendere troppo larghe le maglie della flessibilità di bilancio.