L’articolo è tratto dal magazine Wall Street Italia di maggio e fa parte del lungo dossier dedicato a come investire la liquidità parcheggiata sui conti correnti dagli italiani
di Daniela Lacava
Mi fido di te. Cosa sei disposto a perdere? Un interrogativo che mostra come la questione fiducia sia l’elemento chiave in svariate situazioni, e in particolare quando si parla di risparmi e investimenti. In Italia di fiducia ce n’è poca e i motivi sono molteplici. Sarà che il ricordo della recente crisi è ancora vivo nella memoria, sarà che l’attualità economica è tornata a parlare di recessione (tecnica o meno, poco importa), fatto sta che gli italiani guardano al domani con prudenza e scelgono di percorrere la strada che ai loro occhi appare meno insidiosa: mantenere i propri soldi parcheggiati sul conto corrente. Tutto quello che va sotto il cappello di ricchezza finanziaria degli italiani ha toccato nel 2018 quota 4.287 miliardi di euro, con un tesoretto di 1.371 miliardi fermo sui conti correnti.
Questi sono solo alcuni dei numeri messi in fila da Milena Gabanelli in un appuntamento di Dataroom, la rubrica di data journalism del Corriere. A Wall Street Italia la giornalista ha raccontato del perché ha deciso di parlare di risparmio. Come spesso accade, la vita privata e quella professionale si intrecciano e creano nuovi stimoli.
«L’approccio ha avuto un’origine personale – racconta Milena Gabanelli -. La mia banca mi chiama per comunicare che un modesto investimento in titoli scadeva e mi propone di investire in un prodotto della banca. Io dico che ci penso e intanto lascerei la liquidità sul conto. La promotrice finanziaria mi dice che non è conveniente perché gli interessi non ammortizzano i costi. Era la prima volta da quando nel lontano 1978 ho aperto il mio primo conto in banca. Da lì ho cercato di capire». I numeri non lasciano spazio all’immaginazione, raccontano di un’Italia che ha paura di perdere i propri risparmi e che non vuole rischiare e per questo non investe.
Qualche precisazione è però necessaria. «Quei 1.371 miliardi sono composti da risparmi piccoli e grandi – spiega Gabanelli -. Quindi non sono tutti capitali investibili perché una gran parte serve a gestire le spese della quotidianità. Certo che anche coloro che hanno somme che potrebbero essere investite preferiscono non farlo perché temono la recessione, di perdere il capitale e di perdere il lavoro. Insomma, è un periodo in cui chi ha un po’ di soldi messi da parte non si fida di nessuno e non investe».
Quali potrebbero essere le strade per rimettere in circolo questi capitali? «Consultando chi conosce molto meglio di me la questione – spiega – il suggerimento è quello di una collaborazione fra Stato e imprese nella realizzazione di infrastrutture a elevato moltiplicatore, prevedendo che una parte del fabbisogno finanziario arrivi da obbligazioni garantite dallo Stato». «Un investimento simile ai titoli di Stato» capace di riaccendere la fiducia dei risparmiatori, come era accaduto con il lancio dei Piani individuali di risparmio (Pir).
Questo strumento finanziario, lanciato nel 2017, permette di veicolare il risparmio delle famiglie italiane proprio verso le Pmi nazionali, concedendo un’esenzione fiscale per chi mantiene l’investimento per cinque anni. Il primo passo è dunque quello di riconquistare la fiducia degli italiani che guardano al sistema Paese con diffidenza. E questo, secondo Gabanelli può avvenire solo se arrivano messaggi chiari sulle ricadute dei progetti da realizzare, capaci di far cambiare idea. Un esempio potrebbe essere un grande investimento di tutta la logistica portuale e ferroviaria del Sud.
«Il Mediterraneo è il centro dei commerci dei Paesi che esportano verso l’Europa – argomenta la giornalista -. Oggi le merci fanno giri inenarrabili, arrivano in Olanda e Germania e poi giungere verso l’Italia. Ha senso il contrario».
Ha fatto i conti l’università di Rotterdam: se ingegnerizzi Gioia Tauro e Bari rendi competitivo il trasporto, oltre a creare un grande indotto. Riduci i rischi operativi perché il tratto in nave è più breve. Siamo in mezzo fra Cina, India e Africa, siamo l’approdo di un pezzo del pianeta: modernizzare le linee significa modernizzare il Paese. L’Africa è destinata a cambiare la sua faccia, esporterà sempre di più verso l’Europa. Oggi si muove il 2% di quel che si potrebbe muovere. «Se tutto questo potenziale lo spieghi ai cittadini e ai risparmiatori – aggiunge Gabanelli – credo che ci sarebbe disponibilità» a investire in un progetto concreto.
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