NEW YORK (WSI) – E’ di pochi giorni fa un articolo pubblicato dalla Cnbc, secondo cui le famiglie giapponesi potrebbero detenere qualcosa come 36 mila miliardi di yen in denaro fisico. Un fenomeno che in molti spiegano in parte con il tentativo di evadere le tasse. Ma non solo. D’altronde l’anno scorso, il ministro delle Finanze giapponese aveva parlato di 880 mila miliardi di yen detenuti in contanti in banca.
“Queste statistiche rivelano semplicemente un’economia in cui manca un forte incentivo a investire nel futuro. I singoli e le società sono felici di ottenere un interesse prossimo allo zero in banca (o effettivamente pari a zero, sotto al letto) sul proprio denaro, anziché darlo in prestito. Di fatto, i rendimenti ottenibili sui prestiti concessi al governo giapponese sono crollati negli ultimi cinque anni, nonostante il massiccio incremento del debito governativo e l’obiettivo esplicito di far crescere l’inflazione”, spiega Juan Nevado, gestore dei fondi multi asset M&G Prudent Allocation ed M&G Dynamic Allocation, in un report sull’argomento.
Intanto, mentre gli investitori continuano a essere preoccupati per le sorti delle economie europee periferiche, Grecia in testa, poco o per nulla preoccupa il Giappone, sebbene il rapporto debito/PIL giapponese sia molto più alto.
“La verità è che il rapporto fra il debito e il PIL non è stato un buon indicatore della probabilità di default né della direzione dei rendimenti, nelle economie sviluppate. Dato che una quota ampiamente maggioritaria del debito giapponese è emessa in yen, in teoria il Giappone può continuare a servire il debito all’infinito: basta “stampare” altri yen per effettuare qualsiasi pagamento” continua l’esperto.
Per i governi dotati di questa capacità, secondo Nevado, il default diventa più una questione di volontà di pagare che non di possibilità di farlo: il Paese è disposto a tollerare i costi associati alla “stampa di altra moneta” per rimborsare i debiti? Questi costi in genere sono l’inflazione e la svalutazione della valuta nazionale.
“E per il Giappone oggi questi costi non si fanno sentire neanche lontanamente. Anzi, il Giappone è tuttora in una situazione in cui fa di tutto per creare inflazione e ottiene vantaggi quando la valuta si indebolisce”.
In questo contesto, i rendimenti delle obbligazioni giapponesi continuano ad essere bassi per via della crescita debole. Ma non solo. “Altre argomentazioni, diverse ma correlate, focalizzano l’attenzione su chi detiene il debito governativo giapponese. I dati riportati in un articolo del Wall Street Journal hanno messo in luce due aspetti al riguardo: la quantità modesta di debito in possesso di investitori non giapponesi, e il fatto che la Banca del Giappone è diventata ormai il principale detentore di obbligazioni governative”.
Tuttavia, a prescindere da questi dibattiti, la domanda centrale per gli investitori è sempre la stessa: quanto posso guadagnare, quanto posso perdere e quanto è probabile che accada l’una o l’altra cosa?
“L’ambiente attuale è uno di quelli in cui non ci vuole troppa fantasia per immaginare scenari in grado di mettere sotto pressione i tassi. La cosiddetta “Abenomics” è uno sforzo deciso per incrementare l’inflazione e la crescita, con un obiettivo di inflazione del 2%. Ci sono anche altri elementi potenzialmente positivi per la crescita: il calo del prezzo del petrolio ha raffreddato l’inflazione nel breve periodo, ma in prospettiva può dare un forte impulso all’espansione economica, il proposto aumento dell’IVA è stato rinviato, mentre le esportazioni mostrano segnali di ripresa, in scia al declino dello yen. Certo, l’impatto di queste forze resta tutto da vedere e sono in molti ad aver subito perdite scommettendo contro le obbligazioni governative giapponesi, nel corso degli anni. Però, se avete un po’ di soldi in più sotto il materasso, probabilmente oggi ci sono in giro opportunità molto più attraenti del debito governativo giapponese” conclude Nevado. (mt)