L’economia circolare, il cambio di paradigma che predispone la produzione al recupero circolare delle risorse impiegate, non è solo una questione di sostenibilità ambientale. È anche un’opportunità di crescita. Già nel 2016 la Fondazione Ellen MacArthur e la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (Unctad) avevano calcolato che, ad esempio, India e Cina avrebbero tratto grandi benefici dai principi circolari.
Nel primo caso, convertire l’edilizia, i settore alimentare e la mobilità alla circular economy avrebbe prodotto 218 miliardi di dollari valore economico aggiuntivo entro il 2030, 624 miliardi entro il 2050. Per quanto riguarda la Cina, si era calcolato un beneficio per le città in termini di qualità dell’aria: dimezzate le polveri sottili entro il e tagliata di quasi un quarto la CO2 emessa, entro il 2040.
Economica circolare: la storia della bergamasca Grifal
L’ultimo intervento del DataRoom di Milena Gabanelli entrata nel merito dei dati disponibili sull’economia e sulle potenzialità del recupero circolare. Allo stato attuale, solo il 9% dei prodotti è pensato per il riutilizzo, riferisce la giornalista e nove sono gli anni di durata media dei manufatti dell’industria.
Secondo i dati Conai contenuti in “L’Economia Circolare in Italia” questo settore vale oggi 88 miliardi di fatturato e 22 miliardi di valore aggiunto, ovvero l’1,5% del valore aggiunto nazionale.
Fra gli esempi “virtuosi” citati da Gabanelli c’è la storia della bergamasca Grifal che produce “un cartone ondulato, totalmente riciclabile e così resistente da poter sostituire il polistirolo o altri materiali chimici da imballaggio. Lo scorso giugno l’azienda si è quotata all’Aim, e dopo un solo mese il valore delle sue azioni ha registrato un più 160%”.