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Economia mondiale: verso normalizzazione o stagnazione secolare?

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ROMA (WSI) – Mentre l’economia in Spagna accelera al tasso dello 0,5% su base congiuntarale, l’Italia in recessione tecnica – terza potenza dell’area euro – resta il fanalino di coda dell’Eurozona in termini di aumento del Pil.

Roma, che gia farà fatica a implementare le riforme politico-economiche interne necessarie, dato il contesto esterno di crisi ancora sfavorevole, deve sperare che, al contrario del Bill Gross-pensiero l’Europa eviti a tutti i costi uno scenario di deflazione in stile giapponese. Una tale spirale estesa su scala mondiale vorrebbe dire stagnazione secolare.

Nonostante negli Stati Uniti ci sia in atto una normalizzazione delle condizioni di crescita, con bassa o troppo bassa inflazione a seconda dei punti di vista, l’economia mondiale rischia infatti di impantanarsi in una fase di stagnazione secolare.

È l’opinione del chief economist di Banca Albertini Syz, Fabrizio Quirighetti, che vede tre rischi principali in termini strettamente macro per l’economia mondiale: un rialzo dei tassi repentino negli Usa; il ritorno in recessione dell’area euro con il governo italiano e francese che non implementano le riforme con contraccolpi sull’Ue; il rallentamento economico in Cina, che genererebbe un vero e proprio «crash». Nel secondo caso, il rallentamento coinvolgerebbe anche la Germania, se si rifiutasse di abbandonare l’obiettivo del vincolo di bilancio.

Ci sono poi sempre le minacce geopolitiche e il rischio che l’economia mondiale nella sua integralità viva una stagnazione secolare. Succederebbe in caso di shock esterno o evento che finisca per trascinare anche i paesi in via di Sviluppo – Cina inclusa – in una spirale deflazionistica.

A proposito di deflazione, i rimedi posti in essere dalle banche centrali di Giappone ed Europa potrebbero non essere sufficienti a impedire che l’economia mondiale deragli. E anche se tutto andrà come previsto, secondo Banca Syz nel migliore degli scenari possibili l’accelerazione della ripresa è rinviata al 2015 inoltrato.

Le aspettative di Giappone ed Europa, dove le misure espansive straordinarie delle banche centrali potrebbero risultare insufficienti, sono state riviste al ribasso e lo spauracchio deflazione continua ad aggirarsi, minacciando i consumi in un periodo solitamente positivo come le festività natalizie. La Bce ha varato un piano di acuisto di covered bond e Abs e dal primo trimestre potrebbe anche passare a un Quantitative Easing alla sua massima potenza.

Fatto salvo per gli Stati Uniti, l’economia reale in Occidente continua a deteriorarsi, mentre i prezzi dei mercati azionari si gonfiano come palloncini e i rendimenti sui titoli governativi di Stati fortemente indebitati scendono ai minimi record.

Complice il miglioramento dell’attività economica e del mercato del lavoro, la Federal Reserve ha spento il motore del Quantiative Easing, ma è pronta a riaccenderlo non appena ce ne fosse bisogno.

Secondo lo economista, che ha parlato durante un convegno organizzato dalla sua banca e intitolato “Normalizzazione o secular stagnation?”, la ripresa solida dell’economia Usa porterà a un ritorno alla normalizzazione della politica monetaria – espansiva da diversi anni – a partire dal secondo semestre 2015. Periodo in cui si spera che altrove nei paesi industrializzati la crescita sia tornata a farsi vedere.

“Il recente e significativo calo del prezzo del petrolio e dei tassi dovrebbe sostenere i consumi americani e il mercato immobiliare”. Secondo l’analista “lo stesso potrebbe accadere in Europa e nei paesi emergenti”. Ma prima devono migliorare le dinamiche interne e per quelle ci vorrà tempo.

Italia sostituisce India nei nuovi Brics

In Europa e Giappione la ripresa dei consumi è debole dopo l’aumento delle tasse, ma proprio per questo “sarà difficile deludere ulteriormente, viste le attese estremamente caute”.

Le incertezze sull’economia tedesca e le tanto attese riforme strutturali in Francia e Italia “potrebbero costringere l’Europa a mettere in atto una politica simile a quella attuata dal Giappone”, cosiddetta “Abenomics style” e una maggiore integrazione fiscale in modo irregolare, come al solito”.

“Il miglioramento del quadro economico generale è ritardato e persistono situazioni locali differenti”, ma tutto sommato “i rischi sistemici restano comunque sotto controllo”, secondo Quirighetti.

L’area euro è fuori dalla Grande recessione, ma non dalle pressioni deflazionistiche, con una crescita deludente nel secondo e terzo trimestre (e probabilmente anche nell’ultimo quarto dell’anno.

La ripresa è debole e fragile, fatta eccezione per alcuni “punti luminisosi”, come li chiama lo strategist, nella fattispecie Irlanda e Spagna.

Le pressioni deflazionistiche restano la principale minaccia. “C’è un disperato bisogno di due mosse principali (investimenti in infrastrutture pubbliche e riforme) per evitare uno scenario giapponese”.

Nei mercati emergenti la crescita è strutturalmente più lenta: in Cina si teme l’hard landing mentre “ci sono squilibri nelle economie emergenti e disparità importanti derivanti dal grado di credibilità delle politiche economiche (problema del governo)”.

Lo strategist fa notare anche un cambiamento verbale nei report degli economisti, che ne cela uno sottostante più importante di opinione. I Brics non sono più gli Stati in via di Sviluppo che ci hanno abituato a tassi di crescita a due cifre, bensì sono ormai i grandi paesi che hanno un disperato bisogno di riforme e che presentano grandi problemi strutturali.

Dev’essere per questo motivo che la “I” dell’acronomo è stata attribuita ormai da una serie di economisti illustri all’Italia e non più all’India. I nuovi Brics, sigla inventa dall’allora manager di Goldman Sachs, Jim O’Neill, sono finora individuati in Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Come si comporteranno i mercati

Per i mercati azionari gli analisti di Banca Albertini Syz si aspettano rendimenti da investimento in calo e una “maggiore volatilità che si innescherà quando la Fed farà il primo aumento dei tassi”, ma tutto sommato tassi ancora interessanti se paragonati alle obbligazioni o ad altri investimenti alternativi.

Nello specifico, “sarà necessario praticare politiche di ‘stock picking’, con attenzione alle diverse aree geografiche e settori: ad esempio l’Europa, il Giappone e alcuni mercati emergenti potrebbero fare meglio dei titoli Usa”.

Per quanto riguarda i titoli a debito fisso, “ci aspettiamo che i tassi rimangano bassi, specialmente nell’area Euro, mentre gli Usa si stanno avviando verso una fase di normalizzazione con una curva ‘bear flatenning'”

Il broker è positivo sul dollaro e molto cauto e selettivo sulle valute Emergenti. Per gli investitori in euro la chiave è la divesificazione. Per chi sia pronto ad affrontare un rischio di volatilità, infatti, “può essere interessante, nel quadro del nostro scenario, una diversificazione in BRL (a causa del già alto livello di tassi di interesse reale) in HXN o Rupie indiane”.

(DaC)