MILANO (WSI) – L’Europa dovrebbe andare incontro all’Italia per fronteggiare un declino economico che, per il nostro Paese, è coinciso con l’ingresso nella moneta unica. E’ questa la conclusione dell’excursus dell’Economist dedicato all’Italia nel suo numero in uscita domani.
“L’esperienza dell’Italia nell’Eurozona è stata miserabile”, scrive il settimanale britannico, mostrando in testa tutte le prestazioni deludenti dell’Italia, rispetto alla media di Eurolandia, in termini di produttività e, soprattutto, in quelli di reddito pro capite; esso, infatti, è inferiore a quello del 1999, anno in cui l’euro è stato introdotto.
Niente di nuovo per i critici nostrani della moneta unica, senonché le spiegazioni per giustificare il calo competitivo del Paese divengono in questa lettura solo incidentalmente collegate all’ingresso nell’euro.
“Nato proprio quando l’economia globale stava attraversando un rapido colpo di globalizzazione”, l’euro avrebbe messo a nudo tutta una serie di problemi, da noi molto noti, come i costi e i tempi lunghissimi per aprire un’impresa e la piccola dimensione delle aziende. Mentre gli altri Paesi si preparavano a competere in un’economia aperta senza la possibilità delle svalutazioni, l’Italia è rimasta indietro.
Avvicinandosi nuovamente alle letture degli euroscettici, l’Economist non nega come la via più semplice per il recupero della competitività passi attraverso la riduzione dei salari reali. Tale risultato è stato ottenuto grazie alle riforme Hartz, che hanno permesso una crescita del Pil procapite in Germania senza che questa si distribuisse sul reddito dei lavoratori. Il piano inconfessabile del Jobs Act, scrive la rivista, sarebbe un’analoga svalutazione dei salari.
Il governo “ha già fatto passi in questa direzione, adottando regole che rendono più facile il licenziamento dei lavoratori. Ma anche i suoi consiglieri riconoscono che i progressi sono stati lenti in una maniera frustrante”.
Ma, alla fine, la via del taglio dei salari per il recupero della produttività, non è quella che l’Economist si sente di consigliare:
“Qualsiasi schema di crescita che si basi sulla caduta dei salari è improbabile che renda caro Renzi agli italiani. Perché le sue riforme funzionino avrà bisogno di tempo, che gli elettori non gli regaleranno. Mantenere l’Italia felice a sufficienza da farla restare nell’Eurozona, nel breve termine” passa dalla “continuata permissività della Bce e dalla ridotta schizzinosità della Commissione europea”.
E il finale non risparmia alla rivista la sua consueta ironia:
Se l’Eurozona vuole tenere l’Italia a bordo, avrà bisogno di diventare un po’ meno austera e un po’ più italiana.