A cura di Roberto Rossignoli, Portfolio Manager di Moneyfarm
Le elezioni europee per il rinnovamento del Parlamento europeo si avvicinano. Come in occasione di ogni appuntamento, il dibattito sullo stato della democrazia in Europa è tornato in auge. Secondo molti osservatori quelle che avranno luogo a maggio sono le prime elezioni europee intrise di un significato politico veramente continentale (non il solito referendum sui governi nazionali).
Per una volta, in effetti, a essere in discussione sembra l’idea stessa di Europa e i presupposti democratici dell’integrazione che oggi sembrano traballare. Ciò non stupisce: è evidente da molto tempo, da molto prima che il dibattito diventasse mainstream, che l’idea stessa di democrazia, intesa come democrazia liberale occidentale, sia diventata una questione divisiva. Dopo tutto stiamo parlando di un sistema politico che cerca da oltre duemila anni di definire un metodo inclusivo di decisione collettiva.
“L’alta scuola del compromesso” per dirla con Bernstein, e si sa che il compromesso spesso finisce per scontentare tutti: chi vorrebbe più democrazia, chi ne vorrebbe di meno. Chi reclama il potere diretto della maggioranza e chi evoca invece la mediazione delle élite e così via, in un dibattito che ruota su sé stesso da secoli, scandendo l’avvicendarsi delle istituzioni politiche.
Elezioni europee, la democrazia in crisi
La verità è che le elezioni del Parlamento Europeo, così come l’attività dell’istituzione stessa, non sono mai state di grande interesse per il corpo elettorale, ovvero gli oltre quattrocento milioni di cittadini europei maggiorenni (solo in India si tengono elezioni per un organo elettivo con una base più vasta e ciò già basterebbe per farsi un’idea della complessità del problema). Dalla prima tornata elettorale, nel 1979, hanno sempre prevalso (con risultati di maggioranza relativa sempre inferiori al 50%) ora i partiti appartenenti alla famiglia socialista e socialdemocratica, ora i partiti popolari (il centrodestra di ispirazione cattolica).
Questo tipo di risultato, favorito da un sistema elettorale proporzionale puro, è sempre risultato nella formazione di una grande coalizione orientata al compromesso. Ciò non è stato generalmente percepito come un problema, visto che i poteri del Parlamento erano almeno agli inizi molto limitati, come erano più limitate le funzioni delle Comunità Europea, poi Unione, e perché l’intero progetto si è sempre basato (di prassi ancor prima che diritto) su un approccio negoziale, più che politico e democratico, per definire gli orientamenti.
Per queste ragioni le elezioni europee sono sempre state considerate dagli esperti di materia elettorale come elezioni di carattere “secondario”, una tornata elettorale a minore intensità delle elezioni politiche nazionali, alla stregua delle elezioni locali.
Ma le elezioni 2019, forse per la prima volta, sono intrise di significati politici che riguardano il futuro del progetto europeo. La dialettica si divide intorno a quella che sta diventato la faglia (cleavage) dirimente dell’attuale fase politica, lo scontro intorno alla gestione dei processi di globalizzazione, quello tra sovranisti e forze di ispirazione liberale.
La crescita dei sovranisti
Il primo dei due schieramenti, quello appunto sovranista o nazionalista nelle sue varianti di destra e di sinistra, ha con varia gradazione un atteggiamento critico rispetto all’Unione Europea e alla gestione politica che l’alleanza popolare-socialdemocratica. Quando si parla di schieramenti così variegati e ampi le posizioni politiche sfumano, ancora a testimoniare la difficoltà di mettere in atto un processo democratico su una scala così ampia, ma in generale questa posizione si esprime in un atteggiamento scettico verso il processo di integrazione europea.
Dall’altro lato abbiamo le forze “europeiste” che hanno condiviso il potere in modo controverso negli anni difficili che hanno seguito la crisi. Anch’esse in generale hanno un atteggiamento critico verso l’attuale situazione dell’Europa, che vorrebbero più integrata e più solidale (o più efficiente, a seconda dei casi). Negli ultimi anni alcuni tra i principali esponenti di questa coalizione –specialmente in Germania, ma anche in Francia – hanno cominciato a sviluppare un atteggiamento di scetticismo vero il processo di integrazione, non motivato da una presa di posizione politica (come per i sovranisti) quanto da considerazioni di realismo, che vedono in un’integrazione a più velocità o à la carte una possibile alternativa alla strada tracciata da Maastricht.
L’intensificarsi delle attività bilaterali tra Francia e Germania negli ultimi anni ne è la prova. Due mesi fa ad Aachen, proprio nella città da cui Carlo Magno governava il suo impero, Francia e Germania hanno firmato un accordo bilaterale che sembra voler superare l’Unione Europea stessa in aspetti cruciali come la politica estera e l’integrazione economica. A dicembre è stata proprio la Commissione Europea, invece, a opporsi alla fusione tra Siemens (tedesca) e Alstom (Francia), fortemente voluta da Berlino e Parigi per creare un campione europeo del trasporto su rotaia. La controversia mostra la crescente insoddisfazione che serpeggia anche nel cuore dell’Europa riguardo l’adeguatezza delle regole dell’Unione per fronteggiare un contesto internazionale sempre più competitivo.
Le posizioni dei due schieramenti di questo confronto politico, dunque, sembrano confondersi nella grande mediazione europea, evaporando in una nuvola di contraddizioni e posizioni sempre più indistinguibili.
Elezioni europee, cosa aspettarci sul mercato?
Cosa dobbiamo aspettarci a maggio? Nonostante faccia sicuramente scalpore la crescita delle forze euroscettiche, tutti i sondaggi sembrano indicare che la maggioranza del prossimo parlamento ricalcherà la grande coalizione socialisti-popolari – con la probabile aggiunta dei liberali.
Seppur la crisi dei partiti tradizionali – che per la prima volta rischiano di non raggiungere il 50% dei seggi – rischia di conquistare la prime pagine dei giornali, quello che ci attende è un risultato in continuità con il passato recente. Anche in caso di un risultato positivo delle forze euroscettiche, il pallino resterebbe ancora nelle mani della cabina di regia politica franco-tedesca (a livello di governi). Per tutte queste ragioni le elezioni europee, nel breve termine, sono percepite dai mercati come un non-evento, come dimostra la mancanza di significativi movimenti della valuta nelle ultime settimane.
Adottando una prospettiva di lungo raggio, tuttavia, non si può fare a meno di notare come il processo di integrazione europea abbia perso, negli ultimi anni, la maggior parte dei suoi sostenitori. Si tratta di una questione concreta, che per adesso resta diluita tra i contrappesi del sistema politico dell’Unione, ma che prima o poi è destinata ad emergere: per questo motivo la nostra attenzione resta estremamente focalizzata sulle prossime elezioni e sugli eventi che seguiranno.