ROMA (WSI) – Alla fine si è votato di nuovo con il “Porcellum”: non è bastata, infatti, un’intera legislatura – con tanto di lunga appendice di Governo tecnico – alle forze politiche per trovare un accordo che modificasse la sconcertante legge elettorale formulata dal leghista Calderoli.
Una legge che nell’immediato dopo-elezioni ha lasciato il Paese nell’incertezza, senza un governo, in uno dei momenti più difficili della sua storia recente.
Dopo lo scioglimento delle camere, decretato il 22 dicembre 2012 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a seguito delle dimissioni del Presidente del Consiglio Mario Monti, abbiamo assistito ad una delle campagne elettorali peggiori da quando esiste la Repubblica; tra giaguari da smacchiare; lettere recapitate agli elettori con tanto di modalità di rimborso dell’Imu; peso politico da attribuire all’acquisto di Balotelli da parte del Milan; reiterati rifiuti a confrontarsi con i cronisti italiani e falsi titoli di studio universitari conseguiti negli Stati Uniti.
Ai nastri di partenza, la coalizione che nei sondaggi viene accreditata come favorita è Italia. Bene Comune, formazione di centro-sinistra composta da Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà, Partito Socialista Italiano e Centro Democratico; guidata da Pierluigi Bersani, il segretario del PD che nel ballottaggio delle primarie ha battuto con il 60% dei voti lo sfidante, l’emergente Matteo Renzi.
Dall’altra parte dello scacchiere si presenta il solito Silvio Berlusconi. Da quando rompe gli indugi e annuncia ufficialmente la sua candidatura, il Popolo della Libertà cresce costantemente nei sondaggi, tanto che nelle ultime settimane il leader comincia a parlare di rimonta e possibile trionfo elettorale. Non tutti gli credono, ma stavolta il Cavaliere non bluffa.
Nel mezzo, i possibili outsider: Beppe Grillo riempe le piazze con i suoi anatemi contro tutte le forze politiche avversarie e la sua popolarità appare in forte ascesa; secondo molti il MoVimento 5 Stelle potrebbe essere la vera sorpresa di queste elezioni e così sarà.
Mario Monti, invece, perde progressivamente consensi nei sondaggi, ma continua ad essere corteggiato da destra e (soprattutto) da sinistra; per gli analisti, il suo appoggio ad una o all’altra coalizione potrebbe risultare decisivo. In realtà si sbagliano: Scelta Civica. Con Monti per l’Italia otterrà soltanto l’8,3% alla camera e il 9,13% al Senato. Troppo poco per essere l’ago della bilancia che i montiani si auspicavano di diventare.
Ingroia e Rivoluzione Civile invitano Bersani e Vendola a guardare con più interesse alla loro sinistra, ma gli appelli non vengono ascoltati.
Oscar Giannino, invece, decide di farsi fuori da solo. Fare per fermare il declino è ben accreditata nei sondaggi e secondo alcuni potrebbe essere addirittura la seconda lista dopo quella di Grillo nel laborioso Nord-Est; ma l’economista Luigi Zingales, co-fondatore di Fare, lascia il partito proprio a ridosso delle elezioni sostenendo che Giannino ha mentito sul conseguimento di un master alla Booth School of Businessdi Chicago, dove lo stesso Zingales insegna. Il giornalista è costretto ad ammettere di non aver mai frequentato quel master e di non non essere in possesso nemmeno delle due lauree apparse in un suo curriculum pubblicato on-line. Giannino prova a ridimensionare la vicenda e parla di un equivoco, ma ormai la sua credibilità ha subito un duro colpo ed è costretto a dimettersi dal ruolo di Presidente, pur rimanendo il candidato premier della lista.
Ad urne chiuse comincia a delinearsi un risultato assai poco confortante, confermato dai dati definitivi: nessuna delle coalizioni è riuscita ad ottenere una chiara maggioranza; un fatto senza precedenti che cade proprio nel momento in cui i mercati e l’Europa chiedono all’Italia stabilità politica e, soprattutto, invocano un governo in grado di assolvere al suo scopo.
Con uno scarto risicatissimo (appena 124.958 voti in più del centro-destra), la coalizione di centro-sinistra ottiene il 29,55% e 345 seggi alla Camera in virtù del premio di maggioranza; ma i 123 seggi conquistati al Senato (31,36% dei consensi) non sono sufficienti per conquistare la maggioranza assoluta anche in quell’aula.
Ad inguaiare i piani di Bersani ci pensa ancora una volta Berlusconi: la ventilata rimonta si è concretizza e la coalizione guidata dal Cavaliere conquista 117 seggi al Senato dopo un serrato testa a testa con il centro-sinistra in entrambe le camere.
I risultati del Movimento 5 Stelle sono sbalorditivi, probabilmente al di sopra di ogni più rosea aspettativa: 25,5% alla Camera (109 seggi) e 23,79% al Senato (54 seggi). La compagine di Grillo e Casaleggio è il primo partito alla Camera in Abruzzo (29,87%), Liguria (32,10%), Marche (32,13%), Sardegna (29,68%) e Sicilia (33,61%). Un grande exploit confermato dal fatto che i candidati del M5S si piazzano al terzo posto per numero assoluto di voti anche in Lazio, Lombardia e Molise.
Il cartello elettorale Scelta Civica. Con Monti per l’Italia ottiene un risultato modesto a confronto delle altisonanti aspettative. Ciò provocherà la mancata elezione di due “habitué” del Parlamento come Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini.
Male, malissimo gli altri: pochi consensi e nemmeno un seggio per Rivoluzione Civile e Fare per Fermare il Declino.
Nelle mani di un Presidente della Repubblica a fine mandato, una matassa per niente facile da sbrogliare.
Dopo le consultazioni, Napolitano affida a Pierluigi Bersani l’impervio incarico di provare ad ottenere la maggioranza in Parlamento per poter formare un nuovo esecutivo. Il segretario del PD sbatte (in diretta streaming) contro i “niet” dei grillini e non sembra voler cedere alla tentazione di trattare con il centro-destra; l’appoggio dei montiani è ininfluente poiché non gli consentirebbe comunque di ottenere la maggioranza assoluta. Alla fine incontra Berlusconi, ma le due parti non arrivano a nessuna stretta di mano definitiva.
Ad oltre un mese e mezzo dalle elezioni, l’Italia è ancora senza un overno, nonostante le rassicurazioni di Napolitano sulla piena operatività del governo dimissionario.
L’unica certezza è che queste elezioni non le abbia vinte nessuno e che a rimetterci siano stati tutti gli italiani.
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