Le elezioni presidenziali in Russia si terranno la prossima domenica 18 marzo ma il vincitore si sa già. Vladimir Putin, che si presenta come candidato indipendente, è in testa secondo tutti i sondaggi, con percentuali che non lasciano alcun margine di dubbio. Oltre il 50% dei voti andranno all’ex presidente, seguito dal candidato del partito comunista Pavel Grudinin con l’8%. Con l’esclusione del blogger oppositore Alexei Navalny dalla competizione elettorale, a Putin non è rimasto alcun rivale effettivo e la campagna elettorale è stata una pura formalità.
Grande incognita quella sull’affluenza. Se fosse bassa, come alle elezioni parlamentari del 2016 che hanno registrato le astensioni maggiori nella storia moderna del Paese, la legittimità della vittoria potrebbe risultare inferiore ed essere contestata. Le recenti polemiche sull’avvelenamento dell’ex spia russa Sergei Skripal sul territorio britannico potrebbero aiutarlo in questo senso.
La sfida vera è su chi sarà il suo successore alla fine dei sei anni di mandato, nel 2024, quando Putin non potrà più essere eletto a meno che non riesca a cambiare la Costituzione. Nella cerchia ristretta dei suoi consiglieri si stanno già preparando per il giorno in cui Putin dovrà lasciare la presidenza, desiderosi di preservare il loro potere. Ci si aspetta una crescita degli “intrighi di corte” nei prossimi anni, scrive il New York Times. Secondo analisti russi citati dal New York Times, Putin vorrà mantenere un ruolo politico dopo il 2024 e non semplicemente ritirarsi nella sua dacia, o peggio, finire in prigione.
Per molto tempo la situazione economica in Russia è stata uno dei problemi più gravi per il governo di Putin. Ma il presidente ha cominciato la sua scalata al potere proprio come risultato della crisi economica russa del 1998. In quell’anno tassi di interesse sul rublo subirono un’impennata. Il governo russo non pagò i 40 miliardi di dollari di debito pubblico dovuti sul mercato interno.
In poco tempo, i russi videro tutti i loro risparmi andare in fumo. L’inflazione raggiunse l’84% e la crisi gettò nella povertà il 30% della popolazione. La crisi economica si è tradotta in uno scarso controllo del territorio da parte del governo centrale. Alla fine del 1998 il governo federale non aveva più il minimo controllo sui governi locali. L’allora presidente Boris Yeltsin nominò Putin capo dei Servizi di Sicurezza Federali, poi lo incaricò di riportare all’ordine i territori ribelli. Questa ri-centralizzazione del potere sotto il controllo del Cremlino si intensificò quando Putin divenne presidente.