Società

ELIMINARE I ‘MASTELLISMI’ E NON I GIUDICI

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – La tragicommedia del ” mastellismo” proprio nel suo essere, allo stesso tempo, commedia e tragedia è un autentico dramma. Metto nella componente commedia la signora Mastella la quale dichiara che il presunto attacco orchestrato da ignoti, attraverso la magistratura, sarebbe da ricondurre alla loro strenua difesa dei valori cattolici. Come i primi martiri cristiani.


Metto nella commedia anche il fatto che un tutto calcolato, banale anche se pervasivo fatto di sottogoverno sia spunto per discorsi alati, roboanti e romantico-sentimentali sulla minaccia alla democrazia, alla Patria in pericolo, con un linguaggio da cattivi liceali di una volta. Metto nella commedia la finta sorpresa dei più di fronte allo svelarsi di diffuse pratiche da tutti conosciute e che sono prassi quotidiana, diffusa e dominante certamente in Campania ma non solo.


Metto nella commedia, anzi nella comica, Lamberto Dini che, approfittando della disavventura del collega, vi aggancia la vicenda della moglie, una storia antica di mismanagement imprenditoriale, di quando la signora non era ancora la signora Dini, e dichiara: «È un fatto sconvolgente, i magistrati se la prendono con le nostre mogli».


Rientra nella commedia il ministro Mastella che, novello Edoardo VIII, pronuncia frasi destinate ad entrare nella storia quali: «Tra l’amore e il potere, scelgo il primo ». Metto nella commedia Mastella che spiega che le pressioni per le nomine ai vertici dell’ospedale locale di persone di sua fiducia furono esercitate per assicurarsi che in tali posizioni venissero poste persone di qualità che potessero ben curarlo in caso di malattia.


Decisamente i fattori di commedia e di comica sono numericamente prevalenti. Ma i fattori di tragedia non mancano e, pur numericamente più esigui, sono terribilmente pesanti. Metto nella tragedia lo spettacolo di un ministro della Giustizia che scaglia in Parlamento contro la magistratura (non contro il magistrato accusato di essere il picciotto-killer assoldato da ignoti mandanti) una invettiva di violenza inaudita, tale da surclassare il miglior Berlusconi, e che riceve aperta e rumorosa solidarietà in Parlamento da tutto, o quasi, l’arco costituzionale.

Metto nella tragedia l’urlo doloroso lanciato in Parlamento che «la politica si deve difendere dalla magistratura», come se questa magistratura, nei suoi aspetti più de-teriori, non fosse il frutto amaro di questa politica disgustosa. Metto nella tragedia il fatto che la maggior parte degli italiani (compreso chi scrive) ritiene verosimile che l’azione del magistrato contro il mastellismo possa essere stata sollecitata da fazioni avversarie o da antipatie personali. E questa convinzione, fondata o infondata che sia, per il solo fatto di esistere, rappresenta il punto più alto della tragedia.

Luigi Einaudi, tra la fine del 1942 e la primavera del 1943, scrisse un memorandum per fissare i punti chiave della futura ricostruzione. Al primo punto non mise un tema economico o finanziario, ma la ricostituzione di uno stato di diritto: «Volendo riassumere in una parola i metodi da seguire si può affermare che il rimedio ottimo e massimo, quello da cui tutto il resto dipende, senza il quale nulla si può fare, è il ristabilimento dell’impero della legge».

Forse è proprio da qui che dobbiamo ricominciare per la nuova ricostruzione. Ma poiché il teatro sia nella componente della tragedia che in quella della commedia (comprendo qui anche la comica) ha sempre avuto una funzione didattica, vediamo se si possa trarre qualche insegnamento da questa pièce che sembra scritta a quattro mani da Plauto e da Shakespeare.

Il primo insegnamento è che quello che deve cambiare è il modo di intendere e di fare politica. Non voglio entrare nelle implicazioni penali che non mi interessano. Ma sinché per politica si intende esclusivamente la conquista di voti per poter occupare il territorio e gestire affari, cariche, fonti di lavoro e di guadagno per sé e per i propri amici è inevitabile che la magistratura (ultima speranza) cerchi,in un modo o nell’altro,di frenare queste forme di appropriazione. Non a questo e non solo a questo serve la politica.

Vanno, perciò, eliminati i “mastellismi” e non i giudici. Ed in primo luogo occorre una legge elettorale che assorba ed elimini questi partitini tribal-familisti che non hanno altra ragione di esistere se non quella di occupare posizioni di potere e di affari. Chiunque parla di queste cose senza impegnarsi ad una seria riforma elettorale è un semplice imbroglione. Ma non basta. Bisogna ripensare il concetto di politica. Dunque bisogna, una volta per tutte, introdurre delle innovazioni istituzionali per impedire che le mani della politica, quelle fetide, si stendano su tutto e su tutti.

Il secondo insegnamento è che questa magistratura va veramente rifatta perché un Paese senza giustizia non va da nessuna parte. Ma l’invocazione della pace tra politica e magistratura è un grande imbroglio. Tra politica e magistratura non ci deve essere né pace né guerra. Ma tensione, conflitto costruttivo, diffidenza, questi sì, sono inevitabili. Se la magistratura deve sorvegliare, arginare, frenare, gli abusi del potere non può non essere in tensione con chi esercita il potere. Questo richiede la Costituzione.

Questo richiedono i cittadini altrimenti indifesi. Ci sono pagine stupende di Luigi Einaudi dove il grande maestro illustra che «il bello, il perfetto non è l’uniformità, non è l’unità, ma la varietà e il contrasto ». L’importanza è che il contrasto sia nell’interesse del Paese e non di fazioni.

Il terzo insegnamento è che il “mastellismo”, se nella sua maggiore intensità è tipicamente meridionale, esso è anche la manifestazione più evidente e degenerata di un male nazionale. Leggendo gli stralci di registrazioni pubblicati abbiamo tutti pensato: ma questo succede anche in Lombardia.

Se ci concentriamo solo sulla sanità che differenza c’è tra il mastellismo e il formigonismo-ciellinismo? La differenza è che il primo sta ancora sgomitando per conquistare dei posti al sole mentre il secondo ha conquistato tutti i posti con metodo scientifico e totalitario e domina con serena noncuranza forte anche di quella sciagurata sentenza lombarda di circa dieci anni fa che decise che la lottizzazione politica nella sanità è lecita.

La differenza è che in Lombardia la lottizzazione è partitica e non tribal–familista; è abbastanza alla luce del sole e non giocata, caso per caso, con impropri do ut des; e le scelte sono, in genere, decenti. Ma riconosciute queste differenze, che non sono da poco, tuttavia la malattia è comune. Sino a quando le nomine nella sanità non saranno ricondotte ad un metodo che è loro proprio in tutto il mondo evoluto, e cioè basate esclusivamente sulla professionalità, accertata per titoli ed esami, e saranno politiche esse daranno sempre vita ad abusi.

Forse non è un caso ed ha qualcosa a che fare con il “mastellismo” e con il “bassolinismo” che in Campania la sanità è una delle peggiori d’Italia, come sanno i suoi sventurati cittadini che formano il più robusto filone di turisti della salute.

La crisi del mastellismo potrebbe essere, insomma, un’ottima occasione per iniziare ad affrontare seriamente alcune degenerazioni di fondo delle quali il “mastellismo” è solo una manifestazione tra le più folkloristiche e appariscenti. Mastella, da appassionato di calcio, ci ha servito un formidabile assist. Gli dovremmo essere grati e cercare di non perdere la preziosa opportunità che ci ha fornito di ripensare alcune cose importanti per il nostro futuro. Prima che sia troppo tardi.

Copyright © Il Sole 24 Ore. Riproduzione vietata. All rights reserved