ROMA (WSI) – Maxi tangente per un valore di 197 milioni di euro, versata per l’aggiudicazione di appalti, in Algeria, a Saipem, controllata di Eni. L’inchiesta per corruzione internazionale, già in corso, ora fa tremare direttamente i vertici della cane a sei zampe, tanto che scattano le perquisizioni nella sede dell’Eni a San Donato Milanese, oltre che negli uffici di Saipem. E nella bufera finisce l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, tanto che gli investigatori della Guardia di Finanza perquisiscono a tappeto anche la sua abitazione romana.
In tutto sono otto gli indagati. Si tratta di Pietro Varone, dirigente Saipem; Tullio Orsi, ex dirigente Saipem; Pietro Tali, ex a.d. Saipem; Alessandro Bernini, ex direttore finanziario Saipem; Antonio Vella, altro dirigente Saipem, e Nerio Capanna, altro dirigente. Figura nel registro degli indagati anche Farid Noureddine Dedjaoui, titolare di Pearl Partners Limited, società con sede a Hong Hong che gestiva le tangenti che, secondo l’accusa, Eni e Saipem avrebbero versato ai funzionari algerini per convincerli ad aggiudicare gli appalti a Saipem.
“Siamo totalmente estranei”, è stato il commento di Scaroni. La storia del dirigente non depone però a suo favore, visto che è stato coinvolto in passato in un processo che lo ha visto accusato di aver pagato tangenti al Partito socialista italiano per la centrale elettrica di Brindisi, per conto della Techint, di cui all’epoca era numero uno. Il processo si era concluso con un patteggiamento di un anno e 4 mesi.
Proprio il titolo Saipem è reduce da un crollo senza precedenti fino a -37% dopo un profit warning shock ma anche sulla scia di sospetti di insider trading. La credibilità di Piazza Affari scricchiola sempre di più. Nelle ore precedenti si è parlato dei finanziamenti alla criminalità organizzata da parte di Banca Popolare di Milano sotto la presidenza di Massimo Ponzellini, mentre lo scandalo MPS è ormai storia quotidianamente seguita e aggiornata dai media italiani e di tutto il mondo.