Oltre la metà dei gestori a livello globale ritiene che i fattori Esg possano avere un impatto positivo sulle performance degli investimenti. E, a prescindere da questo, l’80% degli investitori vede un rischio sostanziale nel non integrare la valutazione degli impatti sociali ed ambientali. Lo rivelano i dati di un nuovo sondaggio Ubs (ESG: Do you or don’t you?) condotto su 600 gestori in tutto il mondo, per un ammontare di attività in gestione pari a 19mila miliardi di dollari.
Già oggi gli asset owners globali che già integrano i criteri Esg nei loro processi di investimento sono il 78%, con una percentuale che oscilla verso l’alto in Europa (con l’82% di asset owner già attivi nell’ambito Esg) e un gradino più in basso in Asia, Oceania e Africa (76%). In queste ultime regioni, tuttavia, si osserva la maggior quota di gestori intenzionati a integrare i fattori Esg nei propri investimenti. Negli Stati Uniti incide un clima politico non troppo sensibile al tema della sostenibilità, ma anche qui la percentuale di “investitori attivi” (68%) è decisamente superiore a quella degli “investitori non attivi” (11%). Per quanto riguarda, nel dettaglio, i piani pensionistici, la percentuale di integrazione dei criteri Esg assume proporzioni simili al dato generale (due terzi sono gia attivi).
“Parlando con i nostri grandi clienti istituzionali, vediamo un cambiamento importante nei confronti degli investimenti sostenibili”, ha dichiarato Michael Baldinger, head of sustainable & impact investing, di Ubs Asset Management, “quest’ultima ricerca conferma la nostra convinzione: non è più un ‘nice to have’, ma un ‘must have’”.
Con 30.700 miliardi gli investimenti sostenibili nel 2018 hanno registrato un incremento del 34% rispetto ai due anni precedenti, stando ai dati del Global Sustainable Investment Review.