Esportatore abituale & frode fiscale – I rischi per la banca o per il professionista
Le cessioni all’esportazione e le operazioni assimilate sono operazioni non imponibili ai fini IVA che generano il cosiddetto “plafond”, ossia il diritto per gli esportatori abituali di acquistare i beni in sospensione d’imposta, ovvero senza pagamento dell’IVA[1].
Per usufruire del beneficio dell’acquisto di beni sul territorio nazionale in “sospensione d’imposta” – cioè senza pagare l’IVA – bisogna acquisire il titolo di “esportatore abituale” laddove, nell’esercizio finanziario precedente l’operatore economico abbia esportato un ammontare superiore al 10% del fatturato complessivo.
In particolare, gli acquisti in sospensione d’imposta sono consentiti soltanto ai soggetti che hanno compiuto le operazioni di esportazione previste dall’articolo 8, comma 1, lettere a) e b) (ossia esportazioni “dirette” fuori dal territorio della Comunità) ovvero dai successivi articoli 8-bis e 9 (operazioni assimilate alle esportazioni), nonché cessioni intracomunitarie di cui al Dl 331/1993, il cui ammontare, rispetto all’anno precedente, sia stato comunque superiore al 10% del volume di affari determinato ai sensi dell’articolo 20 del Dpr Iva e nei limiti dell’ammontare dei corrispettivi di tali cessioni e prestazioni.
Per questi soggetti il legislatore ha previsto, una procedura che consente la facoltà di acquistare beni e/o servizi senza applicazione dell’imposta. Il “meccanismo”, previsto nella lettera c) del citato articolo 8, consiste nel considerare non imponibili anche le cessioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano compiuto abitualmente cessioni all’esportazione oppure operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione. La sospensione del pagamento, ai sensi del successivo comma 2, è riconosciuta nei limiti nei limiti delle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente (plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti (plafond mobile), per un ammontare superiore al 10% del complessivo volume d’affari.
Frode fiscale
Sovente si verifica che, soggetti senza scrupoli, sottoscrivono una Dichiarazione d’intento, autocertificandosi “esportatori abituali” ed assumendosi la responsabilità verso il cedente di beni e/o servizi.
Dal 12 febbraio 2015, il fornitore è tenuto a fare un minimo di verifica presso il sistema telematico dell’Agenzia delle entrate[2].
Nella realtà, personaggi di tal fatta sono operatori economici privi di una qualsivoglia struttura aziendale e/o organizzativa (magazzini, dipendenti etc.) e che, non avendo mai istituito le previste scritture contabili non presentano alcuna dichiarazione annuale, tanto ai fini IVA che imposte dirette.
Detengono soltanto la Partita IVA e hanno la registrazione alla Camera di Commercio, necessaria per ottenere le visure camerali (atto costitutivo e statuto).
Questa merce, che viene acquistata sul territorio nazionale senza aver corrisposto alcuna imposta sul valore aggiunto, nella realtà viene ceduta nel nostro Paese senza alcuna esportazione verso località estere.
Il nostro evasore nazionale, vende sottocosto la merce acquistata di circa il 20%, emettendo regolare fattura ed aggiungendo l’IVA al 22% che nessuno versa all’Erario.
Così facendo, oltre alla frode fiscale, determina una “concorrenza sleale” verso operatori concorrenti del medesimo settore economico che invece acquistano pagando l’IVA.
Caso pratico & Alert per la banca o profssionsita
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[1] L’operazione di esportazione consiste nel trasporto o nella spedizione dei beni fuori dal territorio UE. Ad esse sono assimilate le operazioni con la Città del Vaticano, con San Marino e quelle effettuate in base a trattati internazionali (art. 71 e 72 del DPR 633/72).
[2] L’articolo 15, comma 1, lettera g, del Dlgs 158/2015 ha riformulato il comma 4-bis dell’articolo 7 del Dlgs 471/1997, in tema di responsabilità del fornitore dell’esportatore abituale. In virtù della nuova norma, il fornitore dell’esportatore abituale è ora soggetto a sanzione nel caso in cui effettui cessioni/prestazioni senza applicazione dell’imposta, prima di avere ricevuto dalla controparte la lettera d’intento, con ricevuta di presentazione all’agenzia delle Entrate, e di aver eseguito l’ulteriore controllo telematico. La sanzione in parola è prevista in misura fissa da 250 a 2.000 euro.
[3] Che ha esportato l’anno precedente oltre il 10% del proprio fatturato