Qualche giorno fa il Presidente del Consiglio Enrico Letta, all’indomani dell’annuncio dell’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivi, ha espresso il proprio entusiasmo affermando:
«L’uscita del nostro Paese dalla procedura europea per i disavanzi eccessivi è motivo di grande soddisfazione. Il merito è dello sforzo sostenuto da tutti gli italiani, che devono essere orgogliosi di questo risultato»
In questa affermazione, che in realtà cela tutto il cupo disastro europeo, c’è qualcosa che non torna.
In primis, tanto per dovere di precisione, sarebbe opportuno ricordare a Letta che gli italiani, da lui stesso evocati ad esempio, non hanno avuto la possibilità di scegliere se essere in regola o meno con quello che egli definisce “eccesso di disavanzo“. E se avessero potuto, probabilmente, le cose sarebbero andate in maniera differente rispetto a come invece sono andate.
Ma questo è solo l’ultimo capito di un libro, quello dell’euronazismo, che racconta di una democrazia il più delle volte violata, in nome della salvaguardia di un presunto interesse superiore che, guarda caso, non coincide affatto con quello del popolo italiano, nello specifico.
Poi, proseguendo, quella meta, che secondo il Premier è motivo di “grande soddisfazione”, in realtà, appare sempre di più come il ciglio di un precipizio, raggiunto a colpi di distruzione e frustrazione di buona parte della nazione. Per ottenere ciò si sono violate le più elementari regole di buonsenso, logica, sapere economico e democrazia. Quest’ultima fino a sospenderla, solo per usare un eufemismo.
Ne costituisce un esempio più che evidente quanto accaduto in Italia fin dal 2011. A quell’epoca, lo spauracchio dello spread fu usato per imporre un governo, quello presieduto da Monti, diretto custode degli interessi dell’oligarchia dei banchieri di mezzo mondo. Ma non gli interessi degli italiani, all’uopo usati come vittime sacrificali, poiché garanti degli interessi estranei a quelli del popolo italiano.
Risultato: un parlamento, per la sua quasi totalità, coeso e arroccato a votare manovre fiscali lacrime e sangue e provvedimenti che non hanno nulla a che vedere con l’interesse della nazione. Solo per citare alcuni casi, ne costituiscono esempi paradigmatici l’approvazione del fondo salva stati ESM e del FISCAL COMPACT, oltre che tutte le altre misure di inasprimento fiscale e di austerità varate.
Qualche giorno fa l’Istat ha diffuso il consueto rapporto sulla situazione italiana, ed è emerso un quadro di generale desolazione.
Secondo il rapporto, a fine 2012, il 25% della popolazione, ossia quasi 15 milioni di persone, vivevano di condizioni di deprivazione o disagio economico, classificando, in questa categoria, quei soggetti che sono nella condizione di non poter sostenere spese impreviste, non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa, avere arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti come per esempio gli acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice; un televisore a colori; un telefono; un’automobile.
Sempre secondo il rapporto la situazione è a un punto tale che le famiglie italiane che, tra il 2011 e il 2012, hanno ridotto la qualità o la quantità degli alimentari acquistati, è aumentata dal 53,6% al 62,3% e nel Mezzogiorno arriva a superare il 70%.
Sul fronte occupazionale, il rapporto rileva come tra il 2008 e il 2012 i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità, da 1,69 a 2,74 milioni, ma è cresciuta soprattutto la disoccupazione di lunga durata, ovvero il numero delle persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi (+675.000 unità) che ormai rappresentano il 53% del totale (44,4% la media Ue). L’Istat segnala che la durata media della ricerca di lavoro si è portata a 21 mesi nel 2012 con differenze forti tra territori (15 mesi nel Nord e 27 mesi nel Mezzogiorno) e soprattutto per fasce di età con la durata media dell’attesa per le persone in cerca di prima occupazione di 30 mesi. La crescita della disoccupazione si è accompagnata a una marcata riduzione dell’area dell’inattività con più giovani e soprattutto più donne che partecipano al mercato, ma anche con meno adulti che vanno in pensione.
Sempre l’Istat, pochi giorni fa ha comunicato che il tasso di disoccupazione è al top dal 1977, massimo storico per i giovani (tasso oltre il 40%). I dati dell’Istat sono la fotografia di un Paese in apnea. Nel primo trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione è balzato al 12,8%. Considerando i confronti tendenziali è il livello più alto dal primo trimestre del 1977. Quando si parla di “tasso” si intende, come spesso bisogna ribadire in questi casi, della percentuale calcolata sulla popolazione “attiva”, cioè tra coloro che lavorano, hanno lavorato o comunque cercano lavoro.
La disoccupazione ad aprile si è attestata al 12% (più 1,5% in un anno): si tratta di un massimo storico, il livello più alto sia dalle serie mensili (gennaio 2004) che da quelle trimestrali, avviate nel primo trimestre 1977, ben 36 anni fa. Il tasso di disoccupazione è pressoché raddoppiato rispetto al 2007. Al numero dei disoccupati andrebbero comunque aggiunti anche i cassa integrati e coloro i quali hanno abbandonato la ricerca del lavoro. Se si stimassero anche queste classi, con ogni probabilità, giungeremmo ben oltre il 20% di persone senza lavoro.
Sul fronte aziendale, chiaramente, la situazione non è affatto meno drammatica.
Nel 2012 sono cessate circa 365.000 mila aziende, ossia quasi 1000 al giorno.
Secondo i dati del Cerved, gruppo specializzato nell’analisi delle imprese e nei modelli di valutazione del rischio di credito, le imprese italiane continuano a fallire come mai prima d’ora. Nel primo trimestre del 2013 i
Il quadro appena descritto rappresenta, almeno in parte, uno spaccato catastrofico di questa Italia che si sta inabissando sempre più. Chi pensa che tali dinamiche possano essere invertite nel breve periodo è solo un povero illuso. A conferma che la situazione, verosimilmente, tenderà a peggiorare, più o meno tutte le istituzioni internazionali concordano nell’affermare che il prodotto interno lordo italiano, nel 2013, calerà tra l’1.5% e l’1.8%, se non oltre, aggravando la situazione economica e sociale di un Paese che, a fine anno, avrà perso oltre 8 punti percentuali di Pil rispetto all’inizio della crisi.
Ma secondo Letta, a proposito dell’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit, “raccogliamo il frutto del lavoro dei precedenti governi, in particolare di quello presieduto da Mario Monti, al quale va il mio personale ringraziamento”, egli dice.
Chi si accredita il merito di aver portato l’Italia fuori dalla procedura di deficit, mente spudoratamente a tutta la nazione solo per addolcire la pillola somministrata. La realtà è che questo equilibrio, destinato a vacillare, è stato perseguito con folle lucidità di perseguire gli interessi di altri, non certamente quelli degli italiani, massacrando una nazione e portando morte, fame e disperazione, ovunque.
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