I riscatti delle polizze Eurovita potrebbero essere bloccati fino a settembre 2023, anziché fino a fine luglio, come ventilato la scorsa settimana. Secondo le indiscrezioni, l’annuncio della proroga dovrebbe essere dato a breve. Il caso Eurovita rischia di minare la fiducia nei confronti dell’intero sistema assicurativo-vita nel nostro paese. 400 mila famiglie coinvolte, 20 miliardi di portafoglio. Sono i numeri importanti che rischiano di diventare l’innesco di una bomba ben più grande e che coinvolge un quinto dei risparmi degli italiani: oltre mille miliardi di euro.
Fiducia delle assicurazioni a rischio
Il commissariamento della compagnia per “sbilanci patrimoniali”, il successivo sblocco delle richieste di rimborso e, soprattutto, l’allungarsi dei tempi di risoluzione rischiano di mettere in allarme anche i clienti delle altre compagnie che, non essendo né commissariate, né impossibilitate a bloccare i rimborsi, stanno cominciando a ricevere richieste “non preventivate” di rimborso che si sommano alle normali premorienze determinando situazioni di sbilanci sui portafogli gestiti.
I bilanci delle gestioni separate sono fuori tempo e fuori mercato?
Una gestione separata opera attraverso convenzioni che, per certi versi la pongono quasi fuori dal mercato. Tutto questo grazie a una norma che però oggi appare sempre più fuori tempo e luogo. In virtù di questa convenzione la compagnia assicurativa assume su di sè i rischi di mercato. Un’assunzione di rischio che in questa fase storica potrebbe diventare esplosiva, dato che il repentino rialzo dei tassi di interessi sta mettendo in discussione chi ha puntato su titoli di maggior durata per ottenere rendimenti medi nel corso degli esercizi scorsi estremamente attraenti.
In un documento informativo emesso dalla compagnia Eurovita alla fine del bimestre iniziale di quest’anno si evince come i tassi d’interesse riconosciuti alla clientela fossero, dal 2019 al 2022, praticamente fuori mercato. Come vediamo nella tabella, tutti gli esercizi hanno proposto tassi mediamente più alti del 3%, mentre sul mercato i rendimenti erano a zero o addirittura negativi.
Ma quali titoli sono stati messi in portafoglio per generare tali redditività? Di certo non i bot a tre mesi. Il documento che abbiamo visionato suggerisce una presenza corposa di titoli di stato, sia italiani che stranieri. Tali tipi di titoli avrebbero potuto rendere tanto esclusivamente nel caso in cui fossero stati di lunghissima durata, un asse temporale che, oggi, implicherebbe un crollo dei valori se rapporti a quelli presenti sul mercato. Insomma senza la convenzione normativa, molte delle gestioni separate oggi avrebbero patrimoni e rendimenti in fortissima perdita.
Un confronto con il Btp 50 anni
Il rendimento medio annuo offerto da Eurovita è superiore a quello offerto dal Btp italiano con scadenza a 50, che nel 2019 era il titolo di Stato con rendimenti superiori alle altre scadenze. Nella tabella sopra vediamo il confronto medio-annuo dal 2019 al 2022 tra il rendimento offerto da Eurovita e quello del Btp a 50 anni.
Come possiamo notare, l’unico anno in cui il rendimento del titolo di Stato ha superato quello offerto da Eurovita è stato il 2022, a causa dell’aumento dei tassi di interesse. Tuttavia, allo stesso tempo l’aumento del rendimento ha innescato come diretta conseguenza un calo del prezzo del titolo obbligazionario (Btp 50 anni) stesso che al momento quota 54 euro, ben il 46% sotto il livello di parità (100).