ROMA (WSI) – La distanza tra centrodestra e centrosinistra è oggi sui “4 punti percentuali” e le cose, da qui al voto, non cambieranno sensibilmente. Lo afferma, in una intervista alla Stampa, il sondaggista Nicola Piepoli convinto che “gli indecisi non esistono” perché “hanno ampiamente deciso quantomeno a livello inconscio”.
C’è anche un altro elemento che è la cosiddetta “stocastica familiare”: “Se uno è figlio di comunisti e non sa bene chi votare – spiega – difficilmente voterà un partito lontano dalle scelte della sua famiglia”. Comunque, osserva Piepoli, “l’Italia è come una superpetroliera in navigazione in un mare difficile, non mi aspetto nessuna virata improvvisa. Ci vorrebbero forse tre mesi di campagna elettorale, non quindici giorni, per cambiare sensibilmente i numeri”.
“Il centrodestra – aggiunge – è piuttosto stabile, attorno al 32%. Questo non vuol dire che la coalizione del centrodestra stia rimontando, però, bensì, che è Silvio Berlusconi a fagocitare tutti i suoi alleati. La Lega tiene, gli altri della coalizione no. Anche il centrosinistra è stabile, attorno al 36%. Bersani non arretra affatto: era al 33% dell’intenzione di voto due mesi fa. Oggi è al 31%. Lo definirei gradimento granitico. La differenza tra i due poli è al 4% e mi aspetto che tale rimarrà”. (TMNews)
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ROMA (WSI) – Il termometro lo darà la folla che si riunirà a piazza San Giovanni a Roma, venerdì 15 febbraio, nella kermesse di chiusura della campagna elettorale di Beppe Grillo. Si capirà così, da un rapido sguardo d’orizzonte, se davvero quello che i sondaggi stanno lentamente registrando in queste ultime ore si potrà concretizzare nelle urne. Il Movimento 5 Stelle è in crescita. Ed un suo exploit potrebbe mettere in crisi qualsiasi futura alleanza al Senato.
Altro che dibattito su Monti che non vuole Vendola e viceversa. Se, come sembrano fotografare diversi istituti di rilevazione, Grillo uscirà dal voto con la bandiera del terzo partito italiano saldamente in mano, sfiorando – come si sostiene in alcuni casi – addirittura il 20%, allora i pochi seggi di Monti al Senato potrebbero non essere risolutivi per tenere in piedi il governo.
O, meglio, lo sarebbero comunque, ma l’equilibrio risulterebbe precario. Tanto precario da imporre al leader della coalizione vincente un dilemma pesante: governare con una maggioranza risicata e molto, ma molto instabile, oppure tornare in breve tempo alle urne, casomai dopo aver ridisegnato la legge elettorale?
Nessuno lo dice apertamente, ma il rischio c’è ed è concreto. Tant’è che nelle anguste stanze delle segreterie dei partiti, i tecnici della politica vera stanno mettendo le mani alle tastiere delle calcolatrici; ci sono da rifare tutti i conti delle stime previsionali dei seggi sia per la Camera che per il Senato.
Dice, infatti, Alessandra Ghisleri di Euromedia Research: “Il Cinque Stelle è il movimento che in questi giorni sta crescendo con più velocità di tutti gli altri: da qui alla conclusione della campagna elettorale i ‘grillini’ sono accreditati per un ulteriore salto, dall’attuale 14-15%, fino a quote, appunto, attorno al 20%”.
Ma non c’è solo la Ghisleri a sottolineare questo trend. L’Swg dà Grillo in salita oltre il 18%, Tecnè per Sky Tg24 lo dava ieri al 16%, questa mattina al 15%, l’Istituto Piepoli al 13%, più severa l’Ipr marketing per il Tg3 che lo mette solo al 12,5%. Ma è il trend che conta. E che si registrerà a pieno solo nei prossimi giorni.
E qui scatta il secondo fenomeno di queste ore: l’operazione-ricalcolo seggi del Senato. Il dato di partenza è sempre lo stesso, ovvero la coalizione guidata da Bersani che potrebbe contare sulla maggioranza dei seggi alla Camera, mentre al Senato sarebbe quasi certamente costretto ad allearsi con l’area Monti per poter raggiungere una solida maggioranza.
Ma si tratta di previsioni basate su dati che danno i Cinque Stelle al 14-15% e di un’Area Monti attestata su una quota oscillante tra il 12,4% attribuito da Lorien e il 15% di Ipsos. Su questa base, Monti poterebbe a casa 30-40 senatori, quantità tale da avere quel margine di sicurezza e di stabilità per la futura alleanza con il Pd e, di conseguenza, per il governo.
Sommando i 140-150 senatori attribuibili a Pd-Sel si arriverebbe su quote nettamente superiori a quella necessaria, 158, per la maggioranza a Palazzo Madama. Lo stesso tipo di scenario, al momento, lo traccia Tecnè. Che fotografa un Senato con 157 senatori del Pd-Sel, 83 per il Pdl, 36 per Monti e solo 29 per Grillo.
Ma se l’escalation dei consensi al leader del Movimento e il declino dell’area Monti (quorum dell’8% a rischio in Puglia, persino nel Lazio e in altre regioni) fossero confermati, il ricalcolo in corso nei partiti propone scenari diversi: 40-50 senatori a Grillo, 20-25 all’area Monti.
Ora, di sicuro se il Pd mantenesse quota 157 seggi al Senato (quindi sotto solo di un seggio per la maggioranza assoluta), anche i soli 25 senatori di Monti potrebbero essere considerati sufficienti a rendere solida l’alleanza e, di conseguenza, il governo.
Ma bisogna fare il conto con molte variabili, specie quella riguardante le differenti visioni di politica economica tra Monti e Bersani e, soprattutto, tra Monti e Vendola. Ecco perché qualcuno potrebbe avere la tentazione, tra i democratici e i vendoliani, di cercare più la sponda dei Cinque Stelle piuttosto che impelagarsi in una nuova avventura con Monti dai contorni difficili da disegnare.
Un po’ come è successo in Sicilia, da sempre laboratorio politico del Paese, dove il governatore Saro Crocetta ha trovato una solida spalla proprio nell’alleanza con i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle.
La vittoria di Grillo anche al Senato, insomma, propone scenari parlamentari davvero inimmaginati e, certamente, tutti da esplorare. L’eventualità, comunque, sarebbe vista senz’altro come una jattura dai fan europei del Professore che senza dubbio gradirebbero immediatamente all’ingovernabilità del sistema provocando reazioni immediate da parte dei mercati. Invece, non è affatto detto che non possa funzionare; di sicuro c’è molta più affinità tra Bersani e Grillo, o tra Vendola e Grillo, specie sulle questioni sociali, di quante ce ne siano tra Monti e Vendola.
Insomma, quella partita elettorale che tutti davano ormai dagli esiti scontati rischia di riaccendersi per la cavalcata di rimonta di Grillo. Che non va in televisione, ma riempie le piazze ed ha un contatto diretto con l’elettorato, un valore aggiunto di questi tempi tutti televisivi.
Ecco perché, al centro dell’agone politico, si guarda con grande preoccupazione all’appuntamento di piazza San Giovanni. Grillo, infatti, non toglie voti a sinistra, dicono i sondaggisti, li toglie prevalentemente al centrodestra e alla Lega. L’immagine di una piazza San Giovanni, che fu di Berlinguer, stracolma di gente rilanciata da tutte le televisioni sarebbe senza dubbio uno spot gratuito a Grillo che nessuno riuscirebbe ad oscurare. Neanche il Cavaliere.
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