Uno studio della Commissione europea pubblicato questa settimana ha messo in luce come l’interscambio commerciale esistente, sia fra gli stessi Paesi membri sia con il resto del mondo, produce effetti spill-over positivi sull’occupazione europea e mondiale. Ciò si verifica perché le catene produttive complesse spalmano gli effetti occupazionali non solo nel Paese dal quale viene esportato il bene finale. Basti pensare all’effetto occupazionale che Apple, americana, può avere in un Paese distante come la Cina.
Si apprende, così, che le esportazioni tedesche comportano un effetto occupazionale in Italia, nel 2017, di 157.300 posti di lavoro; parimenti, le esportazioni italiane producono 112.200 lavori in Germania. Nel complesso, le esportazioni degli altri Paesi Ue verso destinazioni extreuropee producono in Italia 500mila posti di lavoro. Le esportazioni italiane, d’altro canto, generano 1,595 milioni di posti di lavoro al di fuori dalla stessa Unione europea.
Allargando il discorso i numeri si fanno consistenti se si parla della Cina, le cui esportazioni generano in Europa 3,99 milioni di posti di lavoro, a fronte di un numero molto simile di occupati cinesi legati alle esportazioni europee.
In questa analisi viene apertamente sottolineato, per ogni singola scheda dedicate a ciascun Paese membro, che le “esportazioni creano opportunità per tutti”.
Interpretando quest’affermazione, si potrebbe essere tentati di scrivere che in fin dei conti se un Paese come la Germania esporta molto, anche i lavoratori dei Paesi vicini, se ospitano parte della produzione, ci guadagnano. Ciò, però, non toglie il fatto che un forte surplus commerciale costituisca uno squilibrio macroeconomico. Allo stesso tempo, si potrebbe dire, che anche le importazioni creano opportunità, perché consentono ai partner commerciali di esportare. Per cui resta valido l’invito, diretto ai vicini tedeschi, a stimolare la domanda interna per assottigliare l’avanzo verso il resto del mondo.