Dal primo gennaio 2019 è in vigore la nuova legge cinese sull’e-commerce, a seguito della sua promulgazione da parte del Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale avvenuta il 31 agosto 2018. Il mercato digitale cinese rappresenta una piazza da circa 1.000 miliardi di euro l’anno, il che significa che circa la metà delle vendite online globali sia realizzata verso tale mercato.
Tale legge, la cui elaborazione è stata piuttosto lunga, ha l’obiettivo di rendere il mercato di sbocco digitale cinese più trasparente e regolamentato. Si riferisce esclusivamente alle vendite on-line realizzate in territorio cinese, e risulta applicabile per tutti gli “e-commerce players” fra cui le piattaforme di vendita online proprie o di terzi (ad. es. Taobao, Alibaba o JD.com), gli operatori che vendono beni o servizi attraverso siti web o altri servizi di rete (i siti denominati “social media” fra cui si può citare ad esempio Wechat), le società di logistica ed i soggetti che erogano servizi di pagamento.
In particolare, si tratta di una legge che oltre a prevedere misure di tipo giuridico per migliorare la qualità/sicurezza dei prodotti compravenduti digitalmente in Cina, i relativi sistemi di pagamento, la protezione dei dati, le condotte non competitive da parte dei soggetti coinvolti nelle vendite cross-border verso la Cina, regola anche importanti novità dal punto di vista fiscale, doganale e con riferimento ai requisiti di registrazione presso le autorità locali di competenza.
Per quanto riguarda la tutela della proprietà intellettuale, si sancisce la responsabilità anche in capo alle piattaforme di commercio elettronico che saranno sanzionate, con provvedimenti amministrativi che possono andare da 7.500 dollari e fino a 300.000 dollari, nei casi in cui, se consapevoli dell’illecito, non adottino le misure necessarie richieste.
Relativamente alla Business license, la portata innovativa della nuova legge risiede nel fatto che i venditori digitali dovranno obbligatoriamente mostrare la propria licenza commerciale, pena rischio di multa fino a 1.500 dollari; in tal modo verranno agevolate le autorità cinesi nell’identificare la circolazione di prodotti contraffatti, illeciti o pericolosi con notevole impatto a sfavore dei c.d. “mercati paralleli” e dunque a tutela del consumatore finale e del produttore estero.
Anche con riferimento alla protezione dei dati personali, la nuova legge risulta più stringente determinando le modalità di aggiornamento, modifica, intrasmissibilità o cancellazione dei dati sensibili relativi agli utenti da parte dei gestori di siti di e-commerce.
Da un punto di vista fiscale invece si segnala l’obbligo per i venditori di rispettare tutti gli adempimenti di registrazione presso le autorità fiscali competenti locali e di conseguente pagamento delle imposte, anche se non dotati di una entità giuridica di diritto cinese.
L’art. 26 della nuova legge e-commerce prevede invece che gli operatori di vendite online relative a beni o servizi venduti da paesi stranieri verso la Cina dovranno necessariamente rispettare tutta la normativa locale relativa a import/export (ad es. si veda la Circolare del Ministero del Commercio Cinese pubblicata il 1 dicembre 2018 intitolata “Miglioramento della Supervisione delle importazioni retail tramite e-commerce cross-border“, la quale prevede ulteriori dettagli in termini di vendite online di beni per uso personale, tracciabilità delle informazioni, registrazione delle società di e-commerce e delle piattaforme di e-commerce, pagamento delle imposte all’importazione da parte dei consumatori cinesi e responsabilità delle piattaforme on-line con riferimento alle imposte non versate alle Dogane).
Visti risparmi e aumento di vendite e investimenti
In generale dunque la nuova legge sul’e-commerce in Cina si inserisce in un quadro di maggior tutela per i vari soggetti coinvolti, allo scopo di aumentare il flusso di vendite e di investimenti che siano indirizzati al mercato di sbocco cinese, equiparando il canale di vendite on-line realizzate tramite web alle vendite off-line tramite negozi fisici, rendendo più efficienti dunque le transazioni digitali con notevoli risparmi per le aziende interessate (ad es. possibilità di evitare il sostenimento di costi per l’apertura di negozi fisici).
La maggiore trasparenza offerta dal mercato online cinese, può anche dare modo di realizzare economie di scala nel caso di aziende che vendano digitalmente prodotti simili le quali possono ora approcciare le vendite in Cina in modo integrato condividendo ad esempio marketplaces, costi di logistica, ecc.
Con il miglioramento delle condizioni per poter investire nel mercato delle vendite online cinese, le aziende interessate, saranno innanzitutto obbligate a scegliere se operare tramite sito e-commerce proprio , ed in tal caso si renderà necessaria la costituzione di una Wholly Owned Foreign Enterprise, cosiddetta società a capitale interamente estero, o preferire l’utilizzo di una piattaforma di terzi, soggiacendo però in tal modo alle politiche di vendita ed alle altre condizioni stabilite da tale piattaforma.
Nel caso si scelga di aprire un proprio sito e-commerce si dovrà poi decidere se le vendite on-line saranno solo relative a propri prodotti o anche a prodotti di terzi. Nel primo caso si dovrà costituire una società per vendite retail, mentre nel secondo caso una piattaforma e-commerce le cui procedure di approvazione ed i cui requisiti sono più stringenti, e si segnala che in questo caso non risulta più necessaria una Joint Venture con un socio cinese, ma bisogna comunque ottenere delle licenze speciali.
La registrazione del marchio di proprietà rappresenta un altro passo estremamente consigliabile se non necessario.
Infine la valutazione degli aspetti fiscali di diritto italiano in coordinamento con la fiscalità cinese in termini di imposte dirette, indirette ed applicazione norme convenzionali risulta cruciale al fine di valutare il costo dell’investimento.
A cura di Emanuele Spagnoletti-Zeuli, dott. Commercialista e revisore legale, e di Trixie Bastian, avv. di diritto tedesco (rechtsanwältin), entrambi Associate dello studio Roedl & Partner.