Fallimenti bancari & intervento pubblico: parliamone!
Al netto delle libere opinioni di ognuno, è mia intenzione parlare oggi delle vicende bancarie degli ultimi anni laddove, pur se tanto inchiostro è stato già consumato avuto riguardo alle responsabilità individuali, in termini concreti la situazione non è affatto chiara.
Una banca, quale che sia, non può e non deve fallire e se questo è successo, ci sono certamente responsabilità immani nella gestione delle stesse e nella catena dei controlli.
In ordine al fallimento delle diverse banche accomunate da un unico denominatore, l’ho detto più volte e l’occasione appare propizia per ripeterlo, per dire e sottolineare alcuni aspetti evidenti:
- Credito allegro, spesso senza adeguate garanzie o, ancora peggio, documentate artificiosamente nei bilanci come poste attive, nella realtà trattavasi di posizioni deteriorare da tempo per la chiara insolvibilità dei creditori;
- Controlli assenti – interni ed istituzionali;
- Compensi agli amministratori assolutamente sproporzionati all’andamento della gestione;
- Distribuzione di un dividendo nella realtà esistente soltanto perché i bilanci erano falsi e gli accantonamenti a riserva patrimoniale o svalutazione dei crediti ripetutamente omessa.
Azione del Governo
Di fronte a disastri di questa portata, l’intervento statale dei nostri salvataggi bancari è stato tuttavia limitato al confronto di altri Paesi dell’area dell’Unione Monetaria Europea. Nello stesso periodo, lo stesso Governo ha promosso molte riforme del sistema bancario, superando inerzie, resistenze e rinvii del passato e favorendo fusioni e aggregazioni per meglio competere sul mercato oltre confine e riformando altresì il mondo delle banche popolari e di credito cooperativo.
Insieme agli stress test disposti dalla Banca Centrale Europea, sono emerse numerose deficienze nel sistema di gestione che hanno certamente accelerato i dichiarati fallimenti.
In pratica, queste banche che non sono state in grado di superare queste verifiche soprattutto di ordine economico e patrimoniale, tenevano da anni, con modalità ingannevoli come la magistratura sta accertando, la “polvere sotto il tappeto”.
A questo punto, per rispondere ai tanti megafoni della politica che criticano al solo fine di catturare qualche voto di protesta, cosa avrebbe dovuto o potuto fare il Governo?
Ricordo che l’intervento non solo ha tutelato i posti di lavoro ma anche i tanti migliaia di correntisti – persone fisiche e attività economiche.
L’intervento ha interessato “istituti di credito” – piccoli e grandi – sostanzialmente sani ma infettati da una cattiva gestione, ricca di malversazioni di ogni genere in danno del risparmiatore retail, in qualche caso parzialmente remunerato.
Queste responsabilità, anche istituzionali, oltre che sotto la lente della magistratura ordinaria, sono oggi all’attenzione di una Commissione Parlamentare d’inchiesta (con gli stessi poteri dell’A.G.), fortemente voluta dallo stesso Governo.
L’alternativa, ove non fosse chiaro, sarebbe stata quella di ingenerare un allarme di sistema con chilometri di fila ai bancomat – che tutti abbiamo visto nella crisi della Grecia – con gravissime ripercussioni sulla stabilità e soprattutto credibilità del sistema Paese sui mercati internazionali.
Da ultimo, per fare un parallelismo di gestione voglio ricordare infine la vicenda PARMALAT che pure giunse al fallimento, noto colosso alimentare del nostro Paese che per qualità ha sempre primeggiato sul mercato mondiale dell’alimentazione.
Perché è fallita la Parmalat, pur producendo qualità?
Per la cattiva gestione di amministratori ladri, che dopo il “commissariamento” è risorta e produce utili.
Ecco, per le banche, il commissariamento e il successivo intervento pubblico nel capitale mira allo stesso risultato: tornare in bonis!