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Falso in bilancio, inviti a comparire per Geronzi e altri quindici

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Giornalismo vintage. Dopo la cacciata da Generali, WSI ripubblica due articoli sull’ormai decaduto banchiere. Il quale pero’ e’ sempre una mina vagante, visto che conosce tutti i segreti piu’ inconfessabili della Piovra al potere. Banchiere privato dell’ Innominabile? Certo. Ma entro’ anche nel capitale di quei comunisti retro’ al caviale del Manifesto e finanzio’ l’Unita’. Leggete qui. Il primo articolo e’ uscito sul Corriere della Sera il 29 settembre 2000. Il secondo e’ stato pubblicato da Libero il 5 marzo 2004.

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1) Falso in bilancio, Banca di Roma sotto inchiesta. Inviti a comparire per Geronzi e altri quindici

Al vaglio dei pm i finanziamenti a partiti e giornali. Nell’ elenco Cdu, Pds e Ppi. Controlli sui debiti di Manifesto, Unità e di Domenico Bonifaci, editore del Tempo.

di Sergio Rizzo – Corriere della Sera

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

ROMA – Gli indagati sono 16. Il nome di maggiore spicco è senza dubbio quello del presidente della Banca di Roma, Cesare Geronzi, ma con lui ci sono anche le altre dieci persone che nel 1997 facevano parte del consiglio di amministrazione dell’ istituto capitolino, a partire dal direttore generale Antonio Nottola, nonché i cinque componenti del collegio sindacale dell’ epoca, presieduto da Marcello Bigi.

Il reato ipotizzato dalla Procura di Roma, che in queste settimane sta ascoltando gli indagati, è quello previsto dall’ articolo 2621 del codice civile: falso in bilancio. E’ un reato che negli ultimi anni ha fatto molto discutere il mondo politico. Al punto che il governo ha ora presentato un disegno di legge che lo modifica profondamente.

I giudici che hanno avviato il procedimento vogliono accertare, come hanno scritto nelle convocazioni per gli interrogatori, se nel bilancio 1996 della Banca di Roma, approvato dal consiglio di amministrazione il 23 marzo dell’ anno successivo, fossero esposti «fatti non corrispondenti al vero sulle condizioni economico-patrimoniali» dell’ istituto. Più precisamente se siano stati imputati «impropriamente» al conto economico gli interessi moratori relativi «a posizioni classificate a rischio elevato non controbilanciato da apposito accantonamento al fondo rischi su crediti».

Il riferimento è a una serie di finanziamenti concessi a 21 gruppi, per un totale di circa 3.400 miliardi, fra i quali compaiono anche partiti e organi di «stampa politica» che i magistrati definiscono «debitori in stato di perdurante insolvibilità». L’ inchiesta ha un’ origine rocambolesca. Non è infatti la conseguenza, com’ è accaduto in altri casi analoghi, di una ispezione della Banca d’ Italia. Nasce invece in seguito a un esposto presentato nel luglio 1997 da Maurizio Boccacci, noto alle cronache per essere il leader della formazione neofascista Movimento popolare occidentale, che conteneva molti casi poi ripresi dalla magistratura.

L’ elenco allegato agli inviti a comparire comprende i nomi di molti gruppi imprenditoriali. Il primo in ordine di grandezza debitoria è quello di Domenico Bonifaci, l’ editore del Tempo, che sarebbe stato esposto con la Banca di Roma per 522 miliardi. Segue Italfin’ 80, fondato da Giuseppe Ciarrapico (406 miliardi), quindi i gruppi Pa.Fi. (318 miliardi), Parnasi – Calò (227 miliardi), Della Valle (214 miliardi), Ramacci (193 miliardi), Annunziata (189 miliardi), Ambrosio (159 miliardi), Faroni (143 miliardi), Giannini – Lorenzetti (134 miliardi) e altri per esposizioni minori.

Ma nella lista c’ è anche la Fime, una finanziaria controllata dal Tesoro, che risultava debitrice di 139 miliardi. E perfino un ente pubblico come l’ Istituto autonomo case popolari, che quattro anni fa doveva alla banca 370 miliardi. La parte più interessante riguarda tuttavia i partiti. Dall’ elenco risulta infatti che attraverso «l’Unità» e le sue società immobiliari il Pds avrebbe accumulato, al 1997, debiti con la Banca di Roma per 203 miliardi.

Da notare che alla fine del 1996 il partito allora guidato da Massimo D’ Alema, afferma la documentazione in possesso ai magistrati, era esposto con tutto il sistema bancario per 502 miliardi. Ma non trascurabile risultava anche, secondo i giudici, l’ esposizione con Bancaroma del Cdu e del Ppi (nella lista considerati congiuntamente) attraverso le due società immobiliari dell’ ex Democrazia cristiana, la Ser e la Sari: 40 miliardi.

Al «Manifesto» sarebbero stati invece concessi finanziamenti per 16 miliardi. Mentre il Partito liberale, che nel 1996 non era più rappresentato in Parlamento, risultava ancora debitore di 27 miliardi. Il Psdi, infine, doveva 2,7 miliardi. Su tutte queste posizioni una perizia disposta dal tribunale avrebbe calcolato previsioni di perdita complessive per 1.500 miliardi, ipotizzando il passaggio a sofferenza di quasi tutti i crediti oggetto dell’ inchiesta. Si attende ora, con il deposito del documento (atteso da tempo), di conoscere gli eventuali elementi di divergenza fra le valutazioni del perito e quelle della Banca di Roma.

INDAGINI

L’ inchiesta della Procura di Roma prende le mosse da un esposto presentato nel 1997 da Maurizio Boccacci, leader del movimento neofascista Movimento popolare occidentale. Il reato ipotizzato dai magistrati è quello di falso in bilancio in relazione ai finanziamenti concessi dalla Banca di Roma a 21 fra gruppi societari, partiti e giornali

PARTITI

Nell’ elenco figurano il Pds (203 miliardi), Cdu e Ppi (40 miliardi in tutto), il Manifesto (16 miliardi), il Pli (27 miliardi) e il Psdi (2,7 miliardi). L’ esposizione maggiore fra i casi presi in esame dai giudici è quella del gruppo che fa capo a Domenico Bonifaci, l’ editore del Tempo (522 miliardi).

PROTAGONISTI

Le persone coinvolte sono 16. Fra loro, gli 11 componenti del consiglio di amministrazione dell’ istituto e i cinque membri del collegio sindacale che hanno approvato il bilancio chiuso al 31 dicembre 1996.

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2) Alessandro Sallusti – “Libero”

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

ROMA – Politici, ma non solo. Nei suoi interrogatori-fiume Calisto Tanzi ricostruisce anche i rapporti con la stampa e i giornalisti. I pm che ascoltano le confessioni trascrivono. E alla fine decidono di segretare il verbale. Ci sono rivelazioni molto delicate. Una in particolare, che riguarda Giuliano Ferrara, grande firma del giornalismo italiano, fondatore e direttore del quotidiano “Il Foglio.”

Nel suo racconto l’ex presidente di Parmalat parte da lontano, da quando, all’inizio degli anni ’90, gli fu «consigliato» di finanziare la nascita del quotidiano «L’Informazione», che chiuse pochi mesi dopo. In seguito – racconta Tanzi – il banchiere romano Cesare Geronzi gli chiese di entrare nel capitale sociale del “Manifesto”, e poi del “Foglio”. Il quotidiano della sinistra fu finanziato dal gruppo di Collecchio, il “Foglio” no. Spiega: «Non avevo soldi per fare un’operazione del genere ma feci sapere che sarei stato disponibile ad aiutare in qualche modo».

E la cosa avvenne. «Ho dato cinquecento milioni brevi manu a Giuliano Ferrara», dice Tanzi. La tensione, nella cella dove avviene l’interrogatorio, è alta. I pm chiedono: in che senso? Sul verbale si legge: «A domanda risponde…». E la risposta del signor Parmalat è questa: i soldi li ho portati io personalmente a Roma al direttore Ferrara, erano contenuti in una borsa. Non ricordo se fossero cinquecento milioni o un miliardo. E ancora: non so da che voce di bilancio quei soldi fossero stati presi, né a che servissero. I pm insistono e chiedono: Ferrara che cosa le disse? Risposta di Tanzi: «Mi disse solo: grazie».

Poi Calisto racconta, senza fare nomi, di aver «finanziato anche giornalisti di testate locali» dell’Emilia per ottenere in cambio un occhio di riguardo sulle attività del gruppo.

Soldi, a volte tanti, a volte meno, che Tanzi mette sotto la voce «finanziamenti». Spese che è convinto, e lo dice ai pm che lo interrogano, siano indispensabili per ottenere benevolenza e all’occorrenza aiuti. O almeno così lui spera.

E in questa logica Calisto fa anche il nome di Enrico La Loggia, avvocato, senatore di Forza Italia, ministro per gli Affari Regionali. L’ex presidente fa mettere a verbale che alla fine è convenuto «dare a La Loggia una consulenza legale fissa». Insomma, Tanzi dice che un ministro era di fatto a libro paga dell’azienda.

La Loggia non è comunque l’unico esponente del centrodestra, e neppure del governo, che l’ex presidente di Parmalat ritiene di aver aiutato in vari modi e varie forme. C’è attesa di sapere. Tanto che il comando generale dei carabinieri ha inviato ieri sera una pattuglia nel nostro stabilimento di stampa a Roma per prendere la prima copia di “Libero”. Chissà perché.

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