La Federal Reserve si trova a dover fare i conti con i rischi di reflazione, alimentati dall’agenda politica del neo presidente Donald Trump. Le ultime dichiarazioni della presidente Janet Yellen e di altri esponenti del braccio di politica monetaria della banca centrale americana indicano che la Fed si prepara a un nuovo rialzo dei tassi entro la fine del primo semestre.
Alla fine della due giorni di riunioni di politica monetaria, la Fed dovrebbe lasciare quasi sicuramente i tassi di interesse invariati, pur facendo un cenno a un’ulteriore stretta monetaria in arrivo, viste anche la solidità dell’economia e le aspettative al rialzo per l’inflazione. Secondo lo strategist di Kairos Alessandro Fugnoli, il mercato si aspetta due strette, ma potrebbero anche essere tre o quattro visto il contesto macro.
La Fed vuole lasciare ogni porta aperta, ma le ultime dichiarazioni dei membri del board della banca centrale fanno pensare che l’istituto di Washington sia in effetti pronto a intervenire nuovamente per impedire un aumento indesiderato dei prezzi al consumo. Mettere un freno all’inflazione senza compromettere la ripresa economica e del mercato del lavoro è la grande sfida che si trova ad affrontare la Fed.
Prima di conoscere le politiche del nuovo governo Usa guidato da Trump, che dovrebbero gonfiare il bilancio federale, la Fed non prenderà rischi. Inoltre in occasione della riunione che si conclude oggi non verranno annunciate nuove previsioni economica o un nuovo outlook sui tassi di interesse. Insomma, la Fed non può mandare molti segnali impliciti. Senza contare, poi, che Yellen non terrà una conferenza stampa con i giornalisti.
I mercati in cerca di segnali possono fare affidamento, tuttavia, su due aspetti: il dato CPE e le dichiarazioni che la Fed pubblicherà dopo la decisione sui tassi, con cui la banca centrale potrebbe evidenziare un rallentamento della crescita economica nell’ultimo quarto dell’anno 2016. Il quadro generale, tuttavia, è quello di un’espansione dell’attività economica in generale, con un buon livello di spese al consumo, elemento tradizionalmente fondamentale per la crescita del Pil.
Fed, ciclo di rialzi dei tassi graduale
Quanto all’indice deflatore CPE ‘core’ (l’indice dei prezzi delle spese al consumo escluse le fonti più variabili), si tratta del modo preferito dalla Fed per misurare l’inflazione, perché meno volatile e più completa del CPI classico (indice dei prezzi al consumo) e anche della componente ‘core’ – inflazione esclusi cibo ed energia. Ebbene, il dato sui prezzi delle spese al consumo degli americani evidenzia una crescita dall’1% della scorsa estate all’1,6% attuale, ancora a distanza dal target del 2%. È il motivo principale per cui è lecito attendersi un ciclo di rialzo dei tassi graduale e non affrettato nel 2017.
Il numero di assunzioni continua a essere convincente, anche se non è la qualità dei posti di lavoro e il livello dei salari, mentre l’inflazione prosegue il suo passo spedito verso l’obiettivo della Fed. Questo è il punto cruciale. Le misure di riduzione del carico fiscale e di investimenti pubblici nelle infrastrutture promesse da Trump rischiano, secondo commentatori e analisti, di generare una fase di reflazione.
“Gli ultimi dati macro non hanno creato sorprese particolari. Questo indica che il braccio di politica monetaria della Fed deve accelerare il ritmo del ciclo di rialzo dei tassi se vuole raggiungere i due obiettivi di piena occupazione e di inflazione al 2%”, dice il chief economist in Usa di HSBC, Kevin Logan.
“Non crediamo che in questo contesto il comitato FOMC voglia dare un segnale forte sull’andamento a breve termine della sua politica”. In sintesi, la Fed non ha alcuna fretta di apportare un altro incremento del costo del denaro – sarebbe il terzo in dieci anni di tempo – ma non ha nemmeno intenzione di lasciare che l’economia americana, la prima al mondo, si surriscaldi troppo.