NEW YORK (WSI) – “Un rialzo dei tassi e un calo dei profitti aziendali non sono una buona combinazione per le prospettive dei prezzi degli asset delle Borse, pertanto venderemo titoli rischiosi a inizio 2016″.
È la conclusione sorprendente tratta dagli analisti di Bank of America dopo la storica decisione della Federal Reserve di alzare il costo del denaro per la prima volta dal 2006 mettendo fine all’era dei tassi zero che in Usa perdurava da dicembre di sette anni fa.
“Gli asset rischiosi, ipervenduti prima, ora rimbalzano. Ma la stretta della Fed arriva dopo un restringimento significativo della liquidità. La stretta creditizia rende più difficili e quindi meno numerosi i buyback (le operazioni di riacquisto di azioni proprie, NdR)”.
E intanto le banche sono ai minimi, altro indice del fatto che permangono rischi deflativi. Il rialzo dei tassi “riduce l’ampiezza della crescita del benessere, dell’economia e dei guadagni dei titoli in Borsa”, scrive Michael Hartnett nel suo report dai toni negativi.
Se gli strategist di Russel Investments dicono che continuano a essere neutrali sull’azionario Usa anche per via del dollaro forte, quelli della banca Usa si spingono oltre e annunciano che saranno ribassisti nel primo periodo dell’anno prossimo. L’annuncio cozza per lo più con l’analisi generale fatta dagli altri loro colleghi nel post Fed.
La maggior parte degli analisti ha tessuto le lodi di Janet Yellen e del fatto che abbia fatto bene a non sbilanciarsi troppo sulle mosse future. La numero uno della Fed ha fatto capire che quella appena adottata è una stretta monetaria “accomodante”, senza dare indicazioni sulle prossime mosse. I mercati sono stati rassicurati dal fatto che i rialzi futuri non saranno precipitosi e nemmeno troppo accentuati.
Sulla questione della stretta “accomodante” (un ossimoro in sè), gli strategist di Amundi ritengono che una delle decisioni più sorprendenti sia stata quella di continuare con il reinvestimento dei titoli (obbligazioni del Tesoro e MBS) detenuti dalla Fed e in scadenza, “fino a quando il processo di normalizzazione dei fed fund non sarà a buon punto”.
Da ricordare che 232 miliardi di USD di obbligazioni governative nel bilancio della Fed e in scadenza nel 2016 ( 206 miliardi di USD nel 2017), rappresenteranno il 40% delle emissioni nette per quell’anno e influenzeranno i tassi di interesse.
Alzare i tassi quattro volte nel 2016 – osserva sempre Amundi – potrebbe essere ritenuto in contrasto con la “gradualità” menzionata nella dichiarazione della Yellen. Inoltre, vi è ancora una differenza significativa tra i “dots” e le anticipazioni di mercato”.
Se il dollaro si rafforzerà ancora la banca centrale potrebbe rinviare ulteriore strette monetarie. Non è un caso che la Cina abbia appena adottata l’ennesima svalutazione dello yuan rispetto al biglietto verde, completando una striscia record.
Un altro elemento che potrebbe rilevarsi decisivo nello stabilire le prossime politiche dei tassi è l’inflazione. I prezzi di petrolio e materie prime continuano a calare. Secondo Yellen ha un impatto non duraturo sui prezzi al consumo.
“Tuttavia, il prezzo del petrolio continua a crollare e l’inflazione sottostante, misurata dall’indicatore core PCE, non mostra ancora segnali di accelerazione, nonostante i notevoli progressi osservati nel mercato del lavoro”.
In tale contesto di (incerto) ciclo di strette monetarie della Fed “è probabile che continui a crescere la parte a breve della curva dei rendimenti Usa“, secondo Amundi. Difficilmente, tuttavia, ci saranno aumenti dei tassi a lungo termine.