NEW YORK (WSI) – Il crollo del prezzo del petrolio, insieme all’apprezzamento del dollaro nei confronti delle principali valute mondiali, legano le mani della Fed, costretta così a rimandare ogni decisione di rialzo dei tassi. La pensa così Barry Sternlicht, numero uno di Starwood Capital che, nel corso di un’intervista alla Cnbc, ha sottolineato che “se la Fed dovesse decidere per un rialzo si tratterebbe comunque di un aumento ridotto”.
Ieri, intanto, dalla pubblicazione dai verbali del Federal Open Market Committee, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve, relativi alla riunione del 16-17 dicembre scorsi, è emerso che una stretta monetaria prima di aprile risulta improbabile.
Va inoltre ricordato che, in occasione dell’ultima riunione, la Banca Centrale Americana si era detta per la prima volta “paziente” nel rialzo dei tassi di interesse, fermi dal dicembre 2008 allo 0-0,25%. Nel documento, la Fed ha ribadito dunque che l’inflazione tornerà salire verso il target del 2%.
Inoltre, l’istituto centrale ha ripetuto che il calo dei prezzi dell’energia, e del petrolio in particolare, potrebbero spingere al rialzo le spese da parte dei consumatori mentre il deterioramento dell’economia all’estero potrebbe frenare la crescita degli Usa. Infine, è visto come sempre più probabile l’intervento aggiuntivo da parte di banche centrali estere.
A questo proposito, ieri, gli analisti di Goldman Sachs hanno ribadito l’idea secondo la quale la Banca centrale europea lancerà il tanto atteso “bazooka” nella riunione in calendario il prossimo 22 gennaio.
In una nota ai clienti, l’economista Dirk Schumacher ha scritto che “la sorpresa al ribasso dell’inflazione dell’area euro a dicembre probabilmente ha aumentato il senso di urgenza sul Consiglio della Bce affinché fornisca una risposta”. (mt)