Si conclude, finalmente la stretta della Fed? Quali saranno le mosse che verranno annunciate da Jerome Powell? La politica monetaria, generalmente incide sull’economia in tempi lunghi e variabili. Sapere quando è tempo di fermarsi è difficile e delicato.
In questo momento i tassi Usa sono al 4,75-5% e dopo la riunione di oggi della Fed potrebbero salire al 5-5,25%. Alcuni analisti prevedono che a giugno possano passare al 5,35%-5,75%. Dal prossimo mese in poi, l’attenzione si andrà a concentrare sulla durata della stretta, che è condizionata dalle aspettative di inflazione. Ma cosa potrebbe decidere alla riunione di oggi della Fed?
Fed, cosa aspettarsi oggi
Ad aspettarsi un aumento di 25 punti base dei tassi di interesse è Tiffany Wilding, North American Economist di Pimco. L’economista inoltre ritiene che la Fed possa far capire se intende prendersi una pausa da ulteriori rialzi dei tassi, sempre che i dati lo permettano.
Wilding, ritiene che “la Fed possa fare ciò cambiando la forward guidance passando da qualche politica aggiuntiva di consolidamento a qualcosa del tipo politiche aggiuntive di consolidamento, che le consentirebbe di dare un segnale di pausa pur mantenendo un orientamento all’inasprimento. Riteniamo che il presidente Powell dovrà trovare un difficile equilibrio durante la conferenza stampa, ma alla fine ci aspettiamo che appaia come una pausa da falco“.
Wilding ha spiegato che le ricadute dello stress del settore bancario sono incerte, mentre l’inflazione e gli stipendi si sono dimostrati persistenti dopo la riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) di marzo. Il risultato è che il comitato è più diviso sulla prossima mossa della Fed di quanto non lo sia stato in diversi trimestri. Secondo Wilding, per avere il tempo di valutare l’impatto, il compromesso più probabile è prepararsi ad una pausa, condizionata però dai dati in arrivo e mantenendo una maggiore propensione al rialzo per la prossima mossa dell’istituto centrale.
Sullo sfondo il problema delle banche
Le Fed dovrà necessariamente dare uno sguardo ai problemi che gli istituti di credito regionali stanno affrontando. Karsten Junius, capoeconomista di Banca J. Safra Sarasin, mette in evidenza che nel corso di questa settimana molti investitori hanno venduto le azioni della First Republic Bank da quando la banca americana ha annunciato che i depositi dei clienti sono scesi del 41% nel primo trimestre. Un fattore, comunque, che secondo Karsten Junius non dovrebbe impedire alla Fed di aumentare ancora i tassi di 25 punti base, prima di effettuare una pausa. Il mercato è ampiamente d’accordo, anche se i recenti problemi bancari hanno indotto gli investitori a prevedere ulteriori tagli verso la fine dell’anno. È importante notare che la Fed dovrebbe avere un po’ più di chiarezza sulla misura in cui lo stress del settore bancario regionale influenzerà le condizioni del credito. Junius afferma:
“La nostra sensazione è che gli investitori siano stati un po’ troppo ansiosi di liquidare i fallimenti bancari del mese scorso come eventi idiosincratici. Se invece questi fallimenti fossero sintomatici di un aumento dei tassi d’interesse e di un rapido calo dei depositi bancari, come pensiamo, le prospettive della Fed e del mercato per l’economia rimarrebbero probabilmente ottimistiche”.
Ariel Bezalel e Harry Richards, investment manager fixed income di Jupiter AM, spiegano che sebbene le banche regionali o piccole siano strutturalmente meno importanti, rappresentano una componente significativa dei prestiti statunitensi, in particolare alle piccole imprese. L’immobiliare commerciale è un’area di particolare interesse per questi istituti di credito: i prestiti immobiliari commerciali in essere delle piccole banche sono circa 2,5 volte superiori a quelli delle grandi banche. Ciò avviene in un contesto in cui i tassi di sfitto degli uffici statunitensi sono ai massimi storici.
Le possibili scelte della Fed
Dall’ultima riunione del FOMC, ci sono stati solo altri dati sul CPI (indice dei prezzi al consumo) e sui posti di lavoro (dati di marzo). Questi ultimi hanno mostrato alcuni segnali di miglioramento per quanto riguarda l’inflazione e gli squilibri del mercato del lavoro. Tuttavia, secondo Karsten Junius, i progressi non sono stati sufficienti, per invalidare la dichiarazione del mese scorso secondo cui “potrebbe essere opportuno un ulteriore irrigidimento della politica monetaria al fine di raggiungere un orientamento della politica monetaria sufficientemente restrittivo per riportare l’inflazione al 2% nel tempo”.
Grosso modo sulla stessa lunghezza d’onda sono Ariel Bezalel e Harry Richards, secondo i quali per il momento la principale conseguenza possibile degli ultimi eventi sembra essere un ulteriore inasprimento degli standard di prestito, che sono peggiorati già negli ultimi mesi in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove si è verificata una fuga di depositi dalle banche regionali. I tassi più elevati offerti dalle alternative del mercato monetario e l’assenza (finora) di una garanzia totale sui depositi superiori a 250.000 dollari sono i principali fattori alla base di questa tendenza. Una maggiore incertezza sui depositi potrebbe incidere ulteriormente sulla disponibilità a concedere prestiti da parte delle banche regionali.
Ariel Bezalel e Harry Richards continuano a ritenere che gli Stati Uniti si stiano avvicinando a un hard landing, grazie all’indebolimento della trasmissione del credito. Per quanto riguarda l’inflazione, i due analisti continuano a ritenere che i fattori strutturali puntino verso una riduzione dell’inflazione in futuro, con i beni di consumo e i prezzi delle materie prime che contribuiscono in modo determinante. La natura ritardata dell’inflazione degli affitti implica che potrebbe essere necessario ancora un po’ di tempo per raggiungere la crescita piatta o bassa che vediamo nei mercati degli affitti in tempo reale. Le recenti rilevazioni hanno anche evidenziato un rallentamento della crescita dei salari. Erik Weisman, capoeconomista e gestore di MFS Investment Management, ritiene che ci siano tre considerazioni potrebbero imporre una sfida alla Fed questo mese:
- l’attività economica sta rallentando; i dati fondamentali indicano un indebolimento;
- le voci, che fanno riferimento all’inflazione, sembrano più resistenti;
- First Republic è stata messa in amministrazione controllata.
Secondo Erik Weisman queste tre forze contrastanti richiederanno alla Fed un delicato e difficile gioco di equilibri. Ma il vero problema di Powell della Fed è la mancanza di segnali chiari. Il messaggio per Powell è che non è il momento giusto per fare i vaghi.
Secondo Erik Weisman, la Fed vuole basarsi sui dati e allo stesso tempo essere anticipatrice. “Non siamo sicuri che possa farlo, soprattutto vista la velocità con cui è evoluto il ciclo economico. In ogni caso, solo sospendendo il proprio giudizio si può credere che questo ciclo non porterà a nuove turbolenze”, ha concluso.