L’invasione russa in Ucraina non modifica i piani della FED che è pronta ad alzare nuovamente i tassi di interesse negli Usa ad un ritmo maggiore se necessario per contrastare l’inflazione. Questo perché, se è vero che la guerra darà un colpo alla crescita mondiale, la principali preoccupazione è per il momento è proprio l’impennata dell’inflazione che a gennaio si è portata al 7 per cento.
Fed preoccupata dall’inflazione
Parola di Jerome Powell, governatore della Fed che, a meno di una settimana del primo rialzo dei tassi in tre anni, rispolvera il suo lato da falco e apre la strada ad aumenti dei tassi di interesse superiori a un quarto di punto per contrastare un’inflazione “troppo alta” (ha toccato i massimi da 40 anni).
Notando una crescita economica “forte”, Powell osserva il “chiaro bisogno di muoversi in modo spedito per tornare a un livello più neutrale” del costo del denaro, identificato intorno al 2,4%.
“Adotteremo le misure necessarie per garantire un ritorno alla stabilità dei prezzi”, ha affermato. “In particolare, se concludiamo che è opportuno agire in modo più aggressivo aumentando il tasso sui fondi federali di oltre 25 punti base in una o più riunioni, lo faremo”, ribadendo che non c’è “nulla” che impedisca alla Fed di alzare il costo del denaro anche di mezzo punto percentuale al termine di una delle sue riunioni. Al momento la previsione è di altri sei aumenti dei tassi quest’anno, tutti da un quarto di punto.
Lo stato dell’economia è tale da sopportare una politica monetaria meno accomodante, spiega Powell parlando di un “deterioramento dell’outlook” dei prezzi già prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il presidente della Fed quindi assicura che la banca centrale ha gli strumenti per riportare i prezzi sotto controllo e intende usarli in linea con l’evoluzione dello scenario, al momento caratterizzato dall’incertezza della guerra. Una “politica economica meno accomodante potrebbe ridurre la domanda e stabilizzare i prezzi”.
A questo punto, il mercato monetario prezza l’84% di probabilità di un rialzo da 50pb già a maggio e 7 rialzi e mezzo (da 25pb) entro fine anno. “Se così fosse – spiegano gli analisti di Mps Capital Services, il tasso tornerebbe velocemente verso il livello considerato neutrale (intorno al 2,40%) entro gennaio 2023. Pertanto, quella di maggio sarà una riunione fondamentale, nella quale la Fed potrebbe arrivare ad aumentare il tassi di 50pb e dare i dettagli (tempi e ritmo) di riduzione del bilancio”.
BCE: Europa penalizzata per ragioni geografiche
E se la FED non sembra preoccuparsi degli effetti della guerra sul Pil, lo stesso non si può dire della BCE. Ieri il presidente della BCE, Christine Lagarde, ha osservato le due principali banche centrali del mondo perderanno la loro sincronizzazione nel prossimo futuro, poiché la guerra in Ucraina ha effetti molto diversi sulle due economie anche se al momento non si vedono comunque all’orizzonte “segnali di stagflazione”.
“Le nostre politiche monetarie non seguiranno esattamente lo stesso ritmo “, ha affermato Lagarde. “Come conseguenza della guerra, l’Europa dovrà accelerare l’ecologizzazione della sua economia per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, il suo principale fornitore di gas naturale. Questa transizione sarà inflazionistica nel breve e medio termine”, ha avvertito.
L’agenzia Fitch ha rivisto al ribasso di 1,5 punti percentuali le sue stime di crescita per l’area euro nel 2022 al 3,0%, con un’inflazione in media al 5%. Tagliate anche le previsioni di crescita per gli Stati Uniti, il cui Pil quest’anno dovrebbe salire del 3,5%.
La Federal Reserve statunitense ha alzato i tassi d’interesse la scorsa settimana e ha segnalato una serie di mosse future, pochi giorni dopo che la Bce ha dichiarato che non aveva fretta di aumentare il suo tasso di deposito ai minimi storici, anche se continua a rilasciare stimoli eccezionali.