Oggi alle 20,30 ore italiane il capo della FED, Jerome Powell, ha voluto approfondire la situazione dell’economia americana. Una situazione che, tra alti e bassi, alla fine risulta stabilizzata, nonostante l’inflazione non sia arrivata all’obiettivo che s’era prefissato il numero 1 della Federal Reserve. Ma con i recenti dati pubblicati in merito all’inflazione USA, alla disoccupazione e alla crescita del PIL, Powell ha deciso di procedere ad una temporanea sospensione dell’aumento dei tassi.
La scelta non ha sorpreso alcun analista di settore, anzi la stragrande maggioranza era più che convinta di questa sospensione. Solo la borsa americana ha mostrato di recente dei timori, visto che già a inizio mattinata ha registrato una partenza abbastanza debole. E questo dopo una chiusura del Dow Jones al ribasso, con una seduta di ieri 19 settembre archiviata con un leggero calo dello 0,31%. Nei prossimi giorni la FED renderà noto anche le sue strategie sul piano finanziario, soprattutto a seguito della pubblicazione dei dati sulle PMI manifatturiere.
FED, Powell conferma la sospensione dei rialzi
La situazione dell’economia americana non richiede al momento ulteriori rialzi dei tassi. Ma per Jerome Powell, capo della FED, questo non significa che la partita contro l’inflazione sia finita. Anzi, per quanto l’inflazione si sia moderatamente attenuata dalla metà dello scorso anno, “il processo per ridurre l’inflazione in modo sostenibile al 2% ha ancora molta strada da fare”, ha affermato Powell. Pertanto la FED non vuole distaccarsi dal suo obiettivo: tornare al 2% di inflazione. E questo perché “senza la stabilità dei prezzi l’economia non funziona per nessuno e non avremo un mercato del lavoro forte“.
L’obiettivo 2% è diventato vitale per la Federal Reserve. Lo stesso Powell aveva ribadito l’impegno della FED a Jackson Hole, a fine agosto, quando promise l’utilizzo (ancora una volta) dell’aumento dei tassi, se l’inflazione USA fosse risultata troppo alta.
Siamo pronti ad aumentare ulteriormente i tassi, se opportuno, e intendiamo mantenere la politica monetaria a un livello restrittivo finché non saremo sicuri che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il nostro obiettivo.
E così anche in questa conferenza stampa, l’inflazione torna ad essere il nodo cruciale per la politica monetaria della FED. Ricordiamo che ad agosto è stata registrata una variazione del 3,7%, in disallineamento con le previsioni degli analisti, che davano l’aumento fino al 3,6%. A contribuire all’inflazione di agosto in maniera determinante è stata la componente energia: solo quest’ultima è cresciuta del 5,6% nel mese, con tanto di +10,6% per la benzina. Non a caso, il prezzo al barile sta volando verso i 100 dollari.
Il timore di una ripartenza dell’ondata inflazionistica era già stata temuta da Powell e dalla FED ai tempi di Jackson Hole, e così anche in questa conferenza stampa: “Se non si ripristina la stabilità dei prezzi, l’inflazione ritorna e… si può avere un lungo periodo in cui l’economia è semplicemente molto incerta, e questo influenzerà la crescita.“. Per questo ad agosto aveva voluto mantenere la porta aperta ad ulteriori rialzi. Ma nonostante tutto è prevalsa la linea del blocco dei rialzi, anche se ribadisce che, se ci dovesse essere il caso, la FED interverrà. “Può essere un periodo infelice in cui l’inflazione ritorna costantemente e la Fed interviene e deve inasprire ancora e ancora.”.
La decisione di Powell stupisce gli analisti, ma non la borsa
Giorni prima della conferenza stampa di Powell, analisti ed esperti erano per la stragrande maggioranza concordi che i tassi d’interesse sarebbero rimasti fermi entro l’intervallo 5,25%-5,50%, ovvero l’intervallo fissato con l’ultimo rialzo del 26 luglio 2023. Come riportato da Reuters, la stessa Goldman Sachs, nella persona del Chief Economist Jan Hatzius, aveva sostenuto il fatto che la stretta monetaria fosse terminata.
Ma se il consensus era ampio per questo sperato blocco dei rialzi, meno lo era rispetto all’eventuale rialzo a fine anno, ad oggi stimato dal CME FED intorno al 35,4% di probabilità. La decisione di Powell non segue però le manovre della BCE, che ha portato al 13 settembre ad un aumento di 25 punti base sui tassi d’interesse. E così (forse) le future mosse Bank of England, che secondo il Guardian è ormai sulla strada di un altro rialzo della stessa portata, nonostante il calo inaspettato dell’inflazione.
Per quanto gli analisti non siano rimasti sorpresi da questo dietrofront della BCE, non si può dire lo stesso per la borsa americana, a giudicare dalle ultime sessioni. In chiusura, il 19 settembre il Dow Jones archivia la seduta con un leggero calo dello 0,31%, con perdite generalizzate nell’S&P 500, soprattutto nel settore dell’energia (-0,83%), dei beni di consumo (-0,65%) e delle utilities (-0,55%). Anche stamani la situazione è all’insegna del rosso, con l’S&P 500 addirittura a -0,50% nella tarda mattinata. Diverso è l’andamento nei mercati europei, come segnala il Sole24Ore: tutti all’insegna del verde, con Milano maglia rosa vicino all’1%. A differenza delle borse statunitensi, in Europa c’era più ottimismo.
Nuove avvisaglie all’orizzonte: PIL, disoccupazione e inflazione
Il blocco del rialzo sarà una boccata d’ossigeno per tutti, in primis gli investitori, che se sono ancora in attesa dei dati di venerdì relativi agli indici PMI manifatturiero e servizi delle principali economie occidentali. Tali dati saranno indicativi, e diventeranno fonte di comparazione con quelli dell’Eurozona, particolarmente osservati dopo la delusione dell’ultima lettura. Anche in questo caso prevale l’ottimismo, e quindi una stabilizzazione degli indici manifatturieri e servizi, dopo che il mese scorso era tornato sotto soglia 50, in area di contrazione.
Nel lungo periodo, a finire sotto la lente degli investitori saranno anche i dati relativi alle proiezioni di crescita del PIL. Stando ai dati OSCE, la crescita annuale del Pil negli Stati Uniti rallenterà dal 2,2% di quest’anno all’1,3% nel 2024. Diverso è il tasso di disoccupazione, ad oggi al 3,8%. Indicatori malgrado tutto positivi, tranne quello dell’inflazione, che non ancora vicino a quel 2% su cui FED (e in primis Powell) ha basato questa politica monetaria restrittiva. Ciononostante, ha prevalso la linea della flessibilità, almeno per questa seduta.