La guerra commerciale ha raggiunto il livello di allerta DEFCON 4 secondo gli analisti di ING. L’ordine del presidente americano Donald Trump di far scattare i dazi per l’Unione europea sulle importazioni è una pessima notizia per tutte le imprese ma non così tanto per quelle italiane. Il perché lo si capisce bene dai conti che fa oggi La Stampa secondo cui il valore dell’export di alluminio e semilavorati dall’Italia verso gli Usa è fermato a quota 65,62 milioni contro 1,2 miliardi annui di tutta l’Ue.
Dati questi snocciolati da uno studio di Confindustria pubblicato a marzo scorso secondo cui il nostro paese è poco esposto ai nuovi dazi Usa – basti pensare che nel corso del 2017 l’Europa ha esportato negli Usa cinque milioni di tonnellate di acciaio di cui 500mila provengono dall’Italia – ma comunque, dice il quotidiano torinese, ci saranno molte imprese che saranno più esposte di altre ai dazi di Donald Trump.
Qualche nome? Valbruna, azienda vicentina che oggi esporta 40mila tonnellate e più di acciaio verso gli Usa. Gli effetti dei dazi si faranno sentire anche sulle aziende quotate in borsa, e sul mondo dell’automotive in particolare. Così, dati Mediobanca, Fca acquista acciaio e alluminio negli Usa per circa 3 miliardi di euro annui e ne risentirà inevitabilmente. Non solo Fca anche Danieli, multinazionale siderurgica udinese potrebbe scontare gli effetti di una maggiore volatilità del prezzo dell’acciaio. Al contrario altre aziende come Tenaris che produce negli Usa potrebbe guadagnarci dalle tariffe di Trump. Infine altri colossi nazionali come Ilva, Alcoa e Piombino dovranno affilare le armi contro una concorrenza sempre più agguerrita.
“Noi siamo assolutamente contrari a misure che colpiscano i marchi americani, come Levis, Harley-Davidson e Bourbon. Perché a loro volta gli Usa risponderebbero con altri dazi. Sarebbe un danno gravissimo”.
Così Antonio Gozzi di Federacciai al quotidiano La Stampa, sostenendo che le ritorsioni Ue avrebbero conseguenze disastrose perché intensificherebbero la guerra commerciale.
“Occorre dunque discutere con gli americani, farli ragionare e trovare delle soluzioni accettabili, senza farne una questione di principio o di lesa maestà. C’è un saldo rapporto atlantico che va preservato, è troppo importante non solo per la geopolitica ma anche per l’economia. Non fa piacere discutere con la pistola dei dazi sul tavolo, ma bisogna continuare a farlo. L’Italia è un grande paese esportatore: su 550 miliardi di export dello scorso anno, 450 erano dal manifatturiero dove la gran parte delle esportazioni è rappresentata da meccanica e trasformazione di metallo. Quindi è vero che per l’Italia una guerra commerciale sarebbe terribile. Sull’Europa però voglio ricordare che c’è una differenza tra quello che si dice in una negoziazione e ciò che poi si fa. L’Unione europea per proporre misure di ritorsione deve sentire gli Stati membri e noi spiegheremo al governo che verrà che siamo contrarissimi. Serve una posizione forte, per proteggere gli interessi nazionali. Fino ad oggi l’Europa sulle politiche commerciali è stata più ideologica che pragmatica”.