I giornalisti Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro sono diventati azionisti di «Libero», il quotidiano vicino al centrodestra edito dalla famiglia Angelucci. Lo annuncia venerdì un comunicato dell’Editoriale Libero. «I due direttori… diventano azionisti di Libero, di cui saranno anche editori incaricati, ovvero con la responsabilità piena della conduzione del quotidiano milanese», dice la nota.
Feltri, 67 anni, fondatore di Libero, è attualmente direttore editoriale del Giornale – il quotidiano edito da Paolo Berlusconi – ma la stessa nota annuncia che il 21 dicembre lascerà l’incarico per assumere lo stesso ruolo presso Libero. Belpietro, 52 anni, oltre a essere direttore responsabile di Libero, è conduttore tv a Mediaset. L’accordo tra l’Editoriale Libero e i due giornalisti è stato raggiunto nei giorni scorsi, dice il comunicato. Non è chiaro quale percentuale del pacchetto azionario controllino Feltri e Belpietro.
Il comunicato non specifica qual è la quota rilevata: indiscrezioni di stampa parlano del 20%, diviso equamente tra Feltri e Belpietro, che si sarebbero anche garantiti uguali poteri per la gestione editoriale e amministrativa di Libero.
Stefano Cecchetti, direttore generale dell’Editoriale Libero, ha detto telefonicamente a Reuters che questa informazione sarà fornita nel corso di una conferenza stampa il prossimo 22 dicembre. La famiglia Angelucci, con interessi nel settore della sanità, editano anche un altro quotidiano, Il Riformista vicino al centrosinistra. (fonte: Reuters)
Per chi avesse dimenticato o non sapesse, “Libero” risulta il quotidiano italiano meno libero e piu’ sovvenzionati dai fondi speciali dello stato. E’ registrato infatti (falsamente) presso la Presidenza del Consiglio come “Organo del Partito Monarchico Italiano”, un partito morto e seppellito due generazioni fa che ovviamente non ha alcun rappresentante in Parlamento. Questa ennesima farsa pero’, giocata sull’inebetimento dei lettori italiani e la collusione del Parlamento e di TUTTI i partiti, e’ in realta’ molto meglio di qualsiasi business plan aziendale: il finanziamento pubblico per Libero l’anno scorso e’ stato per il 2008 di 7.794.000 di euro.
Sul sito del Governo è possibile consultare la mappa dei contributi pubblici ai giornali che siano cooperative e soggetti senza fini di lucro, organi di partito e testate per gli italiani all’ estero. Le sovvenzioni sono state pagate nel 2008 in riferimento all’anno 2007.
“Libero” che notriamente e’ degli Angelucci – che possiedno anche “Il Riformista” – è controllato da una fondazione onlus avente lo stesso nome. Nella “speciale” classifica delle sovvenzioni alle cooperative è al primo posto tra i quotidiani con ben 7.794.000 euro ricevuti.
Di seguito la classifica dei gruppi editoriali piu’ sovvenzionati.
Gruppo RCS: 23 milioni e mezzo di euro
Sole 24 ore: 19.222.787 euro
Espresso-La Repubblica: 16.186.244 euro
Libero Quotidiano 7.794.367,53
L’Unità 6.377.209,80
Avvenire 6.174.758,70
Italia Oggi 5.263.728,72
Manifesto 4.352.698,75
Radio Radicale 4.153.452,00
La Padania 4.028.363,82
Liberazione – Giornale Comunista 3.947.796,54
Il Foglio 3.745.345,44
Cronaca Qui.it (Già Cronaca Più) 3.732.669,02
Europa 3.599.203,77
Nessuno Tv 3.594.846,30
Ecoradio 3.354.296,64
Conquiste Del Lavoro 3.346.922,70
Il Secolo D’Italia 2.959.948,01
Corriere Canadese 1 2.834.315,47
Cavalli e Corse 2.530.638,81
La Discussione 2.530.638,81
Il Riformista2.530.638,81
Roma 2.530.638,81
La Provincia Quotidiano 2.530.638,81
Corriere di Forli 2.530.638,81
Il Corriere Mercantile 2.530.638,81
L’Avanti! 12.530.638,81
La Voce Di Romagna 2.530.638,81
Il Cittadino 2.530.638,81
Linea 2.530.638,81
Oggi Gruppo Ed.le America Oggi 2.530.638,81
Rinascita 2.530.638,81
Il Globo 2.530.638,81
Giornale Nuovo Della Toscana 2.530.638,81
Notizie Verdi 2.510.957,71
Italia Democratica 1.476.783,76
Liberal 1.200.342,31
Il campanile Nuovo 1.150.919,75
La Rinascita Della sinistra 934.621,50
Stiftung Sudtiroler Volkspartei Zukunft In Sudtirol 650.081,04
Socialista Lab 472.036,97
Le Peuple Valdotain 301.325,06
Democrazia Cristiana 298.136,46
Il Denaro 2.459.799,42
Metropoli day2.024.511,05
L’Opinione Delle libertà 1.976.359,70
La Voce Repubblicana 624.111,76
Milano Metropoli 288.532,89
Aprile 206.317,47
Il Duemila (IL) 178.007,45
Cristiano Sociali News 57.717,93
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“Libero” regalo di Stato agli Angelucci
Ha ricevuto 35 milioni in 7 anni inseguendo l’evoluzione della legge
di Marco Lillo e Paola Zanca
Almeno 35 milioni di euro. Sono i soldi pubblici, secondo i dati pubblicati dal governo, che il quotidiano Libero ha ricevuto dal 2003 a oggi. Una media di sei milioni di euro all’anno. Tradotto, mezzo milione di euro al mese. Un’entrata niente male: ora si capisce perché da quando è nato, nel 2000, il giornale fondato da Vittorio Feltri ha fatto di tutto per rincorrere la legge. Prima organo di partito, poi cooperativa di giornalisti, in fine diretta emanazione della Fondazione San Raffaele, che ne controlla il 100 per cento delle azioni. A ogni cambio, un aumento dell’incasso.
Ha cominciato come organo del Movimento Monarchico Italiano. Come? Ce lo spiegano proprio i monarchici: “L’accesso ai finanziamenti statali era prerogativa del Periodico Opinioni Nuove – spiega il segretario nazionale dell’Mmi, Alberto Claut – che inizialmente percepiva l’equivalente di 8.000 euro in quanto periodico d’informazione del Movimento Monarchico Italiano rappresentato in Parlamento da senatori e deputati con apposita dichiarazione scritta””.
Proprietario della testata Opinioni Nuove, la stessa con cui oggi è registrato Libero, era il Centro Studi Sociali A. Cavalletto Soc. Coop. a r.l,: una cooperativa di Padova che nel 2002 prima affittò la testata, e poi la vendette. Primo acquirente fu Stefano Patacconi, imprenditore morto suicida nel 2001. È allora che arrivano gli Angelucci, imprenditori della sanità con il pallino dell’editoria. I monarchici, con i proventi della compravendita decisero di pubblicare un nuovo periodico, Opinioni Nuove Notizie che non riceve alcun finanziamento. “Controlli pure, abbiamo fatto delle inserzioni pubblicitarie su Libero il 4 novembre e il 17 marzo scorso, e le abbiamo pagate normalmente. Sarei molto felice di dire che la Repubblica italiana sta finanziando i monarchici – dice il segretario dell’Mmi, Alberto Claut – ma non è così. Peccato, non posso dirlo”.
La Repubblica, in compenso, finanzia – e bene – la creatura di Feltri ora affidata a Maurizio Belpietro. A Libero capiscono subito che uno dei modi per intascare più soldi è aumentare la tiratura, anche a costo di regalare il giornale. Il contributo all’editoria, infatti, si basa sui costi sostenuti dall’impresa e sul numero di copie stampate. Come documentato da Report nel 2006, Libero usa abbandonare vicino alle fermate della metropolitana copie e copie del giornale, che i cittadini possono gratuitamente portarsi a casa. Sono lontani i tempi degli otto mila euro all’anno che i monarchici ricordano, nel 2003, Libero – in qualità di ex organo di movimento politico e ora considerato “cooperativa speciale” – riceve dallo Stato 5.371.151,76 euro.
Alla Cel (Cooperativa editoriale Libero) va di lusso anche l’anno dopo: non ha più i benefici da ex organo politico, ma può godere dei contributi concessi alle cooperative editrici nate prima del 30 novembre 2001. Guarda caso lo è, e nel 2004 becca 5.990.900,01 euro. Lo stesso anno prende 463.742,64 come credito di imposta sulle spese sostenute per l’acquisto della carta utilizzata. Non va peggio l’anno dopo, anzi. Per la carta prende 558.106,53 e il contributo diretto continua a salire toccando quota 6.417.244,86. é qui che arriva l’ennesimo salto di qualità: dal 2005 Libero riceve contributi pubblici perché edito da un’impresa editrice la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali. Per questo nel 2006 porta a casa 7.953.436,26 euro e nel 2007 altri 7.794.367,53.
Nel frattempo da cooperativa si è trasformata in una srl, la Editoriale Libero. Ma tranquilli, c’è ancora un modo per continuare a ricevere soldi. Basta mettere come socio di maggioranza la Fondazione San Raffaele, presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, provincia di Brindisi. Per capire quanto pesano i contributi statali sul bilancio di Libero basti un dato: il costo del personale nel 2008 è stato di 7,5 milioni, circa 300 mila euro in meno del contributo. In pratica tutti i 98 dipendenti (compresi 83 giornalisti) sono stati pagati con i soldi di quello stesso Stato che ogni giorno viene attaccato per i suoi sprechi dal giornale di Maurizio Belpietro.
Da il Fatto Quotidiano del 7 aprile 2010
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“Nonostante la crisi generalizzata e i tagli alla spesa pubblica previsti per l’anno 2011, il maxi emedamento alla Finanziaria recupera altri 40 milioni da destinare al finanziamento pubblico per l’editoria. Infatti, grazie ad un accordo in extremis in Commissione Bilancio alla Camera, le risorse da destinare al finanziamento pubblico delle testate giornalistiche passano da 60 a 100 milioni di euro, cui vanno aggiunti gli 80 milioni già stanziati, per una cifra complessiva di 180 milioni di euro che è più o meno quella messa a disposizione nello scorso anno (e a cui andrebbero aggiunti i contributi per le radio e le televisioni locali e quelli, sia pur di minore entità, per i giornali italiani all’estero).
Un provvedimento promosso dai deputati “finiani” che, come spesso capita in questi casi, ha ricevuto un consenso bipartisan, e che sembra abbia trovato le risorse necessarie tramite una leggera riduzione di una serie di voci di spesa di diversi Ministeri.
Una scelta che farà davvero tirare un sospiro di sollievo ai tanti giornali in crisi profonda, testate che negli ultimi anni hanno accumulato debiti consistenti, diminuito le vendite e perso quote di mercato. L’elenco è davvero lunghissimo (oltre che trasversale agli schieramenti politici “di riferimento”) e riflette la crisi dell’intero sistema editoriale italiano, ormai da tempo letteralmente “mantenuto” dai finanziamenti statali.
Proprio per questo il provvedimento adottato non può che suscitare roventi polemiche e feroci critiche, soprattutto in rete e sui social network. Da più parti ci si chiede il vero motivo per il quale continuare a sostenere con risorse pubbliche giornali che vendono poche migliaia di copie, che si rivelano semplici contenitori di veline di partito o che semplicemente risultano essere strumenti clientelari nelle mani di centri di potere più o meno influenti.
La storia del finanziamento pubblico all’editoria è ben riassunta in una datata (ma estremamente precisa) puntata di Report, nella quale si sottolinea: “Tutto comincia con la legge del 1981 che da un aiuto ai giornali di partito perché non in grado di sostenersi da soli. Se tutto fosse finito lì oggi lo Stato sborserebbe 28 milioni di euro all’anno. Invece nell’87 la legge cambia e basta che due deputati dicano il tal giornale è organo di un movimento politico, che può attingere al grande portafoglio, poi nel 2001 la legge cambia di nuovo: bisogna diventare cooperativa […]”.
Insomma, quello su cui giustamente ci si interroga è la sostenibilità di un modello che di fatto vincola l’esistenza e la sopravvivenza delle testate giornalistiche al finanziamento pubblico, malgrado l’incapacità di competere in un mercato in continua evoluzione.
Cifre enormi che però non rendono bene l’idea della diffusione capillare di un simile “sistema”, che garantisce la sopravvivenza di testate dalla diffusione davvero esigua e soprattutto premia il clientelarismo politico e la connivenza con gli apparati politici. Già, perchè, citando il preciso libro di Beppe Lopez, La Casta dei giornali (ed. Nuovi Equilibri/Stampa Alternativa), si può facilmente osservare come i contributi pubblici per l’editoria dovevano che pure avrebbero dovuto sostenere i giornali di partito, siano di fatto andati per la maggior parte agli editori privati e la stessa formula di “cooperativa” richiesta dalla legge è di fatto aggirata con una facilità irrisoria (anche dal momento che la legge prevede finanziamenti anche a società “controllate da cooperative”).
Nei fatti, dunque, lungi dal preservare “voci alternative alla lobby dei grandi gruppi editoriali ossequienti al pensiero unico”, misure di questo tipo hanno provveduto a mantenere in piedi un sistema restio ai cambiamenti ed all’innovazione, ma soprattutto una rete di privilegi e favoritismi. Senza contare l’insostenibilità stessa di un modello che tollera l’esistenza di giornali che vendono pochissime copie, del tutto autoreferenziali, realizzati da giornalisti lautamente retribuiti (per non parlare degli stipendi di alcuni direttori…) e nello stesso tempo da giovani precari con pochissime tutele . Una inadeguatezza resa perfettamente dall’analisi di Marco Travaglio (che per inciso al momento collabora con il Fatto Quotidiano, testata che non riceve contributi statali), in un intervento di oltre due anni fa che fotografa una situazione che è rimasta al momento immutata (continua sotto al video):
In generale, tuttavia non si tratta di distruggere l’industria culturale del Paese, così come paventano i principali beneficiari di questi provvedimenti, bensì di ripensare criticamente un settore che, se da un lato vede diminuire gli spazi nei mercati tradizionali, dall’altro vede allargarsi gli spazi di manovra grazie all’apertura garantita dai social media e dalla rete in generale. Lo sviluppo della rete, la nascita dei social media, l’informazione dal basso, sono tutti segnali di un mondo in continua evoluzione che sembra davvero costringere “l’editoria tradizionale” ad un cambiamento radicale: il flusso veloce delle informazioni, la rapidità di propagazione, l’interattività e la criticità da parte degli utenti rappresentano stimoli importanti e troppo spesso disattesi dai grandi gruppi editoriali. (Angelo Biondi)