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Ferrovie italiane: il fanalino di coda in Europa

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ROMA (WSI) – Costi pubblici elevati, biglietti sempre più costosi, performance mediocri quando non addirittura scarse. Altro che liberalizzazioni e aumento di concorrenza: quello italiano è un mercato ferroviario in cui rimane difficile entrare, le ferrovie del Paese ristagnano a centro-classifica nei ranking di efficienza e costano molto alla collettività, perché i contribuenti pagano due volte per tenerle in vita. Che potrebbero diventare tre se Ferrovie dello Stato, leader assoluto del mercato controllata completamente dal ministero dell’Economia alla faccia delle liberalizzazioni, deciderà di aprire ai piccoli risparmiatori le sue prossime emissioni di bond, come ventilato dall’amministratore delegato Mauro Moretti. Nel frattempo i prezzi dei biglietti lievitano più che nel resto dell’Ue, mentre i servizi non migliorano. Anzi, specie nel trasporto ferroviario locale (22mila chilometri di binari, contro i 1.300 dell’Alta Velocità) peggiorano di anno in anno.

I biglietti dei treni italiani sono tra i più economici dell’Ue, ma costano sempre di più. Secondo uno studio della Cgia di Mestre basato su dati Eurostat e Ubs, in Italia la liberalizzazione del settore non ha portato a vantaggi per i passeggeri. L’Italia è il paese in cui i biglietti hanno subìto gli aumenti maggiori: +41,3% tra il 2005 e il 2011, contro una media Ue del 28,4% e una dei paesi dell’Euro del 22,6 per cento. In Italia, rileva il centro studi, un biglietto di seconda classe per una tratta di 200 chilometri costa in media 25 euro. All’altro capo della classifica c’è la Svezia, lo Stato che ha liberalizzato di più secondo il Rail Liberalization Index 2011 di Ibm: a Stoccolma i prezzi sono aumentati solo del 5,1% e per un viaggio di 200 chilometri si spendono 18 euro. Nel frattempo sono tornati ad aumentare i finanziamenti pubblici a Fs, la holding di cui fanno parte Trenitalia (che gestisce convogli e trasporti) e Rete Ferroviaria italiana, cui competono rete e infrastrutture: andando a scorrere i bilanci si legge che dai 3,313 miliardi erogati dallo Stato a Fs nel 2010 si è passati ai 4.145 del 2011 e ai 5,372 del 2012.

Un paradosso tutto italiano, quello dei finanziamenti pubblici garantiti a Fs. Nell’ultimo bilancio si legge che nel 2012 i ricavi operativi hanno toccato quota 8,228 miliardi: di questi, solo 2,847 miliardi (diminuiti tra l’altro dai 2,951 del 2011) arrivano dalla vendita dei biglietti. Gli altri 5,4 miliardi sono “interventi e trasferimenti di risorse pubbliche”, la maggior parte destinate a Rfi per la gestione di rete e infrastrutture. Ma i soldi non bastano mai perché lo Stato, o meglio le Regioni con cui Fs stipula i contratti di servizio, pagano in ritardo: nel 2012 la holding vantava un credito di 2 miliardi nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Dato che i fornitori vogliono essere pagati, Fs deve trovare il modo di procurarsi altre risorse: dopo la prima emissione obbligazionaria da 500 milioni di euro dello scorso luglio, recentemente Moretti è tornato a parlare di bond. “Abbiamo pensato di fare qualcosa entro la fine dell’anno”, ha detto l’ad all’ultima kermesse di Cernobbio – “Dovrebbe essere nell’ordine di 500 milioni di euro e stiamo pensando se presentarla (venderla, ndr) o meno al pubblico retail, dei piccoli risparmiatori”. E così gli italiani rischiano di contribuire una terza volta al bilancio di Fs.

Intanto l’efficienza, nella migliore delle ipotesi, ristagna. Nel 2012 Boston Consulting Group, tra i leader mondiali nella consulenza strategica di business, ha pubblicato uno studio che misura la performance delle ferrovie dei paesi dell’Ue in base a 3 variabili: intensità d’uso (numero di passeggeri e quantità di merci), qualità del servizio (puntualità, tariffe e percentuale di tratte ad alta velocità) e sicurezza (numero di incidenti e vittime). In testa alla classifica dell’European Railway Performance Index 2012 ci sono Svizzera, Francia, Germania, Svezia e Austria. L’Italia? Molto più in basso, in 12a posizione, fanalino di coda dei paesi più avanzati (la stessa posizione che occupa nella classifica sulla sicurezza stilata dall’European Railway Agency). Secondo il report, la performance è legata al livello di finanziamenti erogati dallo Stato: i primi 4 paesi in classifica sono anche quelli che utilizzano al meglio i fondi pubblici, perché “raggiungono un’elevata efficienza ad un costo pro-capite più basso rispetto agli altri Stati”.

Interessante anche il confronto del prezzo dei biglietti con il resto dell’Ue. Il sito specializzato Seat61.com, pluripremiato tra i portali di viaggio e gestito dal blogger del Guardian Mark Smith, ha confrontato i costi di Regno Unito, Germania, Francia e Italia su una distanza di circa 250 chilometri. Il più interessante è il modello britannico. E’ opinione diffusa che i treni inglesi costino più che altrove, ma oltremanica funziona così: prima si prenota il biglietto e meno lo si paga, e molto dipende dagli orari perché nelle ore di punta si spende meno. Una modulazione dei prezzi che permette alle compagnie di ottimizzare i guadagni: acquistandolo in stazione per il giorno stesso, un biglietto da Londra a Sheffield (265 km) costa 123 euro contro i 43 che si spendono in Italia per andare da Roma a Firenze (260 km). Ma se si prenota con un mese d’anticipo, il prezzo crolla a 14,8 euro. In Italia ne servono 29. Dal confronto emerge che da noi i biglietti costano di meno, ma gli altri tre paesi vengono tutti molto prima della Penisola nella classifica dell’efficienza: come a dire, la qualità dei servizi si paga.

Altre latitudini, purtroppo. In Italia la qualità del servizio precipita, secondo Pendolaria 2012, report di Legambiente sullo stato dei servizi offerti ai 2,9 milioni di pendolari italiani. Ne viene fuori il ritratto di un Paese a due marce: da un lato l’Alta Velocità, che garantisce buoni standard di qualità; dall’altro il trasporto locale: nel 2012 “sono molte le Regioni che hanno deciso di tagliare i servizi (corse e treni) e di aumentare il costo di biglietti ed abbonamenti”. Qualche esempio: in Campania i tagli “hanno toccato il 90% dei treni sulla Napoli-Avellino e il 40% sulla Circumvesuviana”. Sono stati del 15% in Puglia e del 10% in Abruzzo, Calabria, Campania e Liguria”. Nel frattempo “il prezzo del biglietto è aumentato negli ultimi 2 anni”: +20% in Abruzzo e Toscana, + 15% nel Lazio, +10% in Liguria. “Aumenti che si vanno a sommare a quelli del 2011 in Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte, Veneto e in Lombardia dove le tariffe erano salite del 23,4 per cento. Considerando l’insieme delle Regioni l’aumento medio è stato del 10%”.

L’Europa dei paesi avanzati resta molto lontana. Per capire le differenze basta fare un confronto. Nello European Railway Performance Index 2012 il Regno Unito si trova in 7a posizione, nel gruppo dei paesi di seconda fascia di cui anche l’Italia fa parte. Ma tra i treni di Roma e quelli di Londra c’è un abisso. Dati del Parlamento inglese alla mano (la nota Public Spending and investments on the railways, pubblicata l’8 marzo 2013), dal biennio 2006/2007 sono diminuiti progressivamente sia i finanziamenti governativi che il totale degli stanziamenti pubblici ai gestori delle ferrovie. I prezzi dei biglietti sono aumentati, ma la qualità del servizio è rimasta alta: i treni inglesi sono i più sicuri del continente secondo l’Intermediate report on the development of railway safety in the European Union 2013, pubblicato a maggio dall’Era. Oggi i bilanci degli operatori britannici sono costituiti per il 58% dalla vendita dei biglietti e il 32% dai finanziamenti statali. In Italia avviene l’esatto contrario: 34% dai biglietti, 66% dallo Stato.

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