Questo articolo è tratto dal dossier Impresa e Risparmi pubblicato sul numero di luglio/agosto del magazine Wall Street Italia.
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Private debt e minibond stanno prendendo piede anche in Italia e appaiono piĂą in linea con gli obiettivi di crescita di medio-lungo termine delle imprese
Le Pmi sono la spina dorsale dell’economia italiana. Lo ha confermato l’Istat nel report sui risultati economici delle imprese a livello territoriale. Lo sono per la loro dinamicità e innovatività , per la capacità di competere a livello internazionale, per la presenza lungo tutta la penisola. Le Pmi, afferma l’Istat, producono l’80% del valore aggiunto di quattro comuni italiani su cinque. Sono una ricchezza che va rafforzata e fatta crescere.
Per crescere bisogna investire
Gli investimenti vanno finanziati. Per farlo le Pmi ricorrono in misura preponderante al credito bancario o all’autofinanziamento. Può non bastare in uno scenario economico che rimane incerto e con un sistema creditizio ancora convalescente dopo la crisi e alle prese con le problematiche derivanti dalle normative più stringenti.
Strade alternative sono il private debt e i minibond.
“Il private debt è una forma di finanziamento adatta alle Pmi – racconta Domenico Del Borrello, country manager Italy di Muzinich – con un fatturato che va dai 5 ai 50 milioni di euro. Le grandi imprese, come Ferrero, Fiat Chrysler o Fininvest hanno invece come principale riferimento il canale bancario tradizionale che in Italia rappresenta ancora l’80% del totale dei finanziamenti alle imprese”.
Tra il 2013, anno nel quale il private debt ha esordito in Italia, e il 2018 sono stati raccolti sul mercato oltre 2 miliardi di euro. Il dato è contenuto nello studio “2018 Il mercato italiano del private equity, venture capital e private debt” condotto da Deloitte e Aifi.
“Il private debt si sta finalmente diffondendo anche in Italia e in Europa – prosegue Del Borrello – che però rimangono a grande distanza dagli Stati Uniti dove questo strumento di finanziamento esiste già da 20 anni. Noi siamo stati i primi, nel 2013, a lanciare un fondo di private debt in Italia, il Muzinich Italian Private Debt, dando finanziamenti e ossigeno alle Pmi italiane. Il compito del private debt è erogare credito alle imprese che vogliono espandersi, diversificare il business o internazionalizzarlo ma che preferiscono non avere ingerenze esterne nella loro gestione manageriale o cedere quote dell’azienda, come avviene se ci si rivolge a un private equity o se ci si quota in Borsa”.
Il tasso di interesse richiesto da un private debt è superiore a quello bancario ma l’orizzonte temporale del finanziamento è più lungo:
“Ciò si adatta molto bene alle esigenze di sviluppo di un’impresa che, per forza di cose, non può che avere tempi lunghi. In media un nostro finanziamento bullet dura dai sei agli otto anni e, a seconda del livello di solvibilità dell’azienda, ha un tasso di interesse medio pari all’Euribor +5%/+6%. Quello che voglio sottolineare – conclude Del Borrello, è che il private debt non si pone in concorrenza con le banche ma piuttosto come aggiunta o alternativa al credito bancario”.
Lo stesso vale per i minibond che hanno esordito in Italia nel 2012. Da allora e fino a fine 2018, secondo i dati del 5° Osservatorio italiano sui minibond a cura del Politecnico di Milano, 260 Pmi italiane hanno raccolto, oltre 4,6 miliardi di euro. Nel corso del 2018 ci sono state 198 emissioni di cui 179 per controvalori inferiori ai 50 milioni di euro. Anche in questo caso parte del successo è legato all’ottica di lungo periodo di questa forma di finanziamento.
Lo sottolinea Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr:
“Sono un’alternativa al canale bancario e consentono una diversificazione delle fonti di finanziamento delle aziende. Inoltre, il finanziamento bancario è tipicamente di breve termine mentre il minibond è uno strumento più adatto a raccogliere finanziamento a sostegno degli investimenti nello sviluppo di medio-lungo termine come, per esempio, nell’attività di ricerca e sviluppo, nell’apertura di nuovi mercati e così via. Inoltre, questo strumento di finanziamento ha un ulteriore appeal: permette di aprire l’azienda alla relazione con gli investitori, è un primo passo, consente di ottenere un rating e acquisire maggiore visibilità rispetto ai clienti e ai fornitori. Questo mix di fattori compensa un costo del funding un po’ più elevato rispetto a quello del sistema bancario”.
Eppur si muove
Anche se lentamente e con un ritardo decennale sui Paesi anglosassoni, il finanziamento alternativo accelera anche in Italia.
“Grazie anche al legislatore – dice Del Borrello – e a quello che succederà con gli Eltif, che dovrebbero permettere di erogare credito alle Pmi, raccogliendo risorse non solo dalla clientela istituzionale ma anche dai risparmiatori, offrendo loro dei benefici fiscali”.
“Negli ultimi anni c’è una tendenza a incentivare il ricorso a strumenti di finanziamento alternativo al credito bancario per finanziare gli investimenti di lungo termine” aggiunge Franco che prosegue: “Le aziende italiane sono molto efficienti e redditizie. Quelle piccole e medie sono il nerbo della nostra economia ma soffrono per le loro dimensioni limitate. Un modo per risolvere il nodo dimensionale è sicuramente quello di favorirne la crescita nel medio-lungo periodo con strumenti di finanziamento coerenti con questo orizzonte temporale”.
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