Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni e del Ministro per lo sport con delega all’editoria Luca Lotti, ha approvato in data 5 maggio 2017 un decreto legislativo che, in attuazione della legge 26 ottobre 2016, n. 198, prevede disposizioni per la ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici.
A parte le buone intenzioni che in questo caso non mancano mai, a cominciare dal “pluralismo dell’informazione”, ho sempre considerato l’intervento di Pantalone nell’editoria, una grave minaccia alla libertà dell’informazione.
In altri Paesi, penso per esempio agli Stati Uniti d’America, i più grandi scandali giudiziari – di origine politica, finanziari, corruzione o criminalità comune – sono stati sempre scoperti dagli organi di stampa o, come si dice in gergo, dai giornali d’inchiesta.
In Italia, invece, la scoperta di quisquiglie simili, in genere sempre ex post, quando i c.d. buoi sono scappati, interviene la magistratura.
La domanda sorge spontanea: siamo sicuri che elargire soldi pubblici all’editoria sia un affare per la nostra comunità?
Fino a che punto una testata giornalistica, destinataria di aiuti economici da parte dello stesso “pantalone”, cioè dello Stato, si porrebbe in contrasto con una approfondita inchiesta sapendo che la sua stessa vita, la sua sopravvivenza è direttamente legata a quell’obolo elargito dal potere politico?
Non sarebbe forse “più migliore assai – come dicono a Napoli” che la sopravvivenza della testata sia legata esclusivamente al gradimento del pubblico e quindi alle copie effettivamente vendute al pari di una qualunque impresa?
Nella vita si sa, la coerenza costa, ma alla lunga paga!
Alla lunga, molto alla lunga.
Intanto, così è, se vi pare!
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