Mentre si avvicina la fine del Quantitative Easing (QE), prevista entro il prossimo inverno, gli economisti sono al lavoro per quantificare quanto costerà all’Italia la fine del programma di riacquisto dei titoli di Stato da parte della Banca centrale europea.
Il tema diventa particolarmente importante perché la fine degli aiuti dell’istitituto di Francoforte arrivano in periodo in cui la tensione attorno al debito pubblico italiano è tornata a farsi sentire come non accadeva da tempo,
Secondo un studio condotto da The European House – Ambrosetti , che si è avvalso anche della consulenza di Carlo Cottarelli, presentato nell’ultima giornata del meeting di Cernobbio, in caso di nuova crisi economica senza aiuto dell’istituto di Francoforte, il Tesoro potrebbe affrontare costi per 22 miliardi di euro.
La ricerca arriva a una conclusione del genere dopo aver valutato ben nove possibili differenti scenari: dal più “ottimista” che prevede una recessione solo nel 2021 e compensata dal conseguimento di un avanzo primario del 4%, fino all’ipotesi shock, quella che prevede una crisi già nel 2020, con il Pil al -5% e il rapporto debito pubblico e Pil vicino al 150%.
Tra i due scenari, ce ne sono diversi compresi nel mezzo però tutte un elemento in comune: i conti per l’Italia hanno subito un deterioramento da aprile per via del maggior costo del debito determinato dall’aumento dei tassi avvenuto negli ultimi quattro mesi e per l’abbassamento delle stime di crescita 2018 rispetto a quelle indicate nel Def.
Un trend che rischia di peggiorare in modo esponenziale nel caso in cui ritornassero a galla paure sulla permanenza dell’Italia nell’Eurozona e lo spread sui titoli di debito dovesse tornare a salire su livelli visti nel 2011-2012.