Spesso nascono come start-up per fornire servizi finanziari di nicchia, ma sono banche digitali concentrate sull’innovazione di prodotto e con costi di funzionamento e dimensioni inferiori rispetto alle banche tradizionali. Parliamo delle challenger bank, a cui Mediobanca dedica il secondo capitolo di una serie programmata di studi sul mondo fintech (il primo, sul paytech, è stato pubblicato lo scorso dicembre), dedicato alle 96 challenger bank europee. Due terzi di esse sono concentrate in tre Paesi: 37 nel Regno Unito (ormai fuori dall’Europa a seguito della Brexit), 12 in Italia e in Francia.
Cosa sono
Le challenger bank sono banche che mettono a disposizione i propri servizi unicamente attraverso app e smartphone e non hanno filiali né fisiche né online. Grazie ai loro costi contenuti, stanno prendendo piede soprattutto tra i giovani, ossia i millennial.
In sostanza, una challenger bank è una tech company che offre servizi finanziari a 360° accessibili direttamente da smartphone. A livello globale, in pochi anni, queste banche hanno già conquistato oltre 60 milioni di clienti.
Le challenger bank italiane
L’indagine di Mediobanca rivela come le challenger bank italiane hanno brillantemente superato il primo anno pandemico, con crescite a doppia cifra sia del margine di intermediazione (+42,2% sul 2019) che del risultato operativo (>100%), mentre il contenimento delle perdite su crediti (passate da -31,3 milioni del 2019 ai -10,3 milioni del 2020) ha contribuito al miglioramento del risultato netto.
Ugualmente positive nel 2020 le performance dello stato patrimoniale, con la crescita dei crediti verso i clienti (+38,8% sul 2019) e del totale attivo aggregato (+35%) che ha parzialmente perso slancio nel 2021, pur mantenendosi a doppia cifra (+42,4% i crediti v/clienti e +18,2% il totale attivo sul 2020).
Cresce anche la forza lavoro all’interno delle challnger bank, con +18% nel 2020 sul 2019 e +5,7% nel 2021 sul 2020.
Le principali differenze strutturali fra le challenger bank e gli istituti di credito italiani? Principalmente nell’incidenza del costo del lavoro e delle spese generali sul totale ricavi. La prima è minore per le challenger bank che, di contro, registrano una maggiore incidenza delle spese generali. Analizzando la composizione di queste ultime emerge un forte peso dei costi di consulenza, dei servizi in outsourcing e della pubblicità: la struttura snella degli organici impone alle challenger bank di rivolgersi all’esterno per ottenere servizi altrove svolti internamente
Le challenger bank in Europa
Lo studio di Mediobanca poi rivela che in Europa sono state identificate 96 challenger bank, di cui 63 detengono una licenza bancaria completa, 20 agiscono in qualità di agenti di operatori terzi, sei sono in possesso di licenza di Imel (Istituto di moneta elettronica) o di Istituto di Pagamento e le restanti 7 hanno una licenza bancaria con restrizione o hanno avviato la procedura, con un’operatività ad oggi limitata.
Proprio l’Italia con le sue 12 challenger bank è il paese più rappresentato dopo il Regno Unito (37) insieme alla Francia (12); seguono Germania (8) e Spagna (7). Gli operatori italiani appaiono tuttavia di dimensioni minori e presentano valori inferiori alla media per ricavi e totale attivo. Circa il 65% delle società europee analizzate è stato costituito dopo il 2013. Il triennio 2014- 2016 è stato il più fecondo, con l’avvio di 26 società. Solo nove sono quotate in Borsa: sei inglesi, una italiana (illimity Bank di Corrado Passera), una estone e una norvegese (Aprila Bank) trattata in un mercato non regolamentato (Euronext NOTC).
Nel 2020 i ricavi delle challenger bank europee sono aumentati del 3,9% sul 2019, mentre il risultato netto aggregato è peggiorato del 12,7%, in linea con le performance delle banche dell’Eurosistema. Con un valore già negativo nel 2019 (-5,1%), il Roe complessivo è sceso dello 0,4%, collocandosi al -5,5% nel 2020. Sono invece cresciuti i totali attivi (+11,4%) e i crediti verso clienti (+4,9%).
La diffusione della pandemia ha giovato alle challenger bank prettamente digitali, ovvero le subsidiary (enti giuridici che gestiscono le iniziative online di grandi Gruppi) e le neobank (costituite dopo il 2010), con crescite dei ricavi nell’ordine del +19,9% per le prime e del +24,8% per le seconde. Le neobank hanno una redditività ancora negativa, (ROE al -13,9%, +0,1 p.p. sul 2019). Per esse, il raggiungimento del breakeven è legato all’incremento della base clienti e del ventaglio di servizi offerti (che dipende dall’ottenimento della licenza bancaria piena), con lo sviluppo dimensionale che può fungere da game changer.