Io e Fabrizio Villani ci conosciamo ormai da anni. Fabrizio, nonostante la sua giovane età, appartiene alla rosa dei grandi esperti di Fintech nel nostro Paese e occupa la classifica dei Top 10 Insurtech IoT Leader. Da sempre appassionato e attratto da tutto ciò che riguarda l’innovazione, nel 2017 diventa Co-Founder & Head of Growth di Fintastico, la bussola italiana per il FinTech. Da qualche giorno sugli scaffali della casa editrice Franco Angeli spicca il suo nuovo volume #Fintech Expert. Contro il logorio della banca moderna, una guida alla rivoluzione in atto nel mondo FinTech. Ne parliamo in esclusiva su Wall Street Italia.
L’universo FinTech ha ormai un ruolo chiave per le istituzioni finanziarie, le imprese, le compagnie assicurative, le nuove generazioni. Non è di fatto solo una componente importante del processo di trasformazione del sistema finanziario ma è un vero e proprio acceleratore di innovazione. Sapresti indicarci alcune iniziative degne di nota negli ultimi anni?
Per i consumatori sicuramente la possibilità di pagare comodamente attraverso il proprio smartphone, senza dover far uso di monetine o banconote ma tranquillamente tramite una delle tante app ormai disponibili sul mercato. Fondamentale in questo caso per gli utenti, avere ben chiaro il compromesso che spesso offre la tecnologia: comodità in cambio di accesso o condivisione ai nostri dati.
Per le piccole e medie imprese, la possibilità di accedere a nuovi canali dove poter trovare rapidamente soluzioni di credito alternative o complementari al canale bancario. Penso per esempio alle piattaforme di anticipo fattura, crowdfunding o quelle di peer-to-peer (P2P) lending conosciuto anche come social lending che permettono il “prestito tra pari” che per i privati si trasforma in un’opportunità concreta di investimento sostenendo una o più PMI attraverso un prestito ottenendo in questo modo un rendimento lordo annuo atteso compreso tra il 5 e il 7 per cento.
Quale lo stato dell’arte della tecnofinanza in Italia? Quali “scelte governative” hanno avuto maggior riscontro sulle attività del comparto FinTech?
È difficile stabilire quali siano tutti i motivi del ritardo dell’ecosistema italiano dell’innovazione e delle startup. Credo che le cause siano da ricercare in un mix di carenze culturali (finanziarie e digitali in primis) e una conseguente difficoltà anche da parte delle realtà più innovative a raccogliere capitali sul mercato, soprattutto nelle fasi iniziali di vita (pre-seed e seed). Secondo i dati di Statista, gli investimenti in capitale di rischio (venture capital) pro capite in Italia nel 2017 sono stati pari a 2$, nello stesso anno il dato tedesco è stato pari a 38$ e quello francese a 40$, anche la Spagna con 21$ ha fatto meglio di noi anche se molto lontana dalla capolista Svezia con 136$.
Fatte queste premesse, tenderei ad escludere l’approccio “soldi a pioggia” spesso seguito dal nostro Paese su altre questioni. Secondo una ricerca di Deloitte, la forza di un hub FinTech è direttamente correlata alla possibilità delle organizzazioni FinTech di accedere a talenti, capitali, organizzarsi e che sia possibile adottare politiche e norme progettare per consentire la crescita del comparto.
Dal punto di vista proprio dei talenti, le università stanno pian piano aggiornando i loro percorsi di studio includendo sempre di più anche il mondo FinTech e le sue evoluzioni come materia di studio. Per quanto riguarda i capitali, credo che Cassa depositi e prestiti (CDP) con il Fondo Nazionale Innovazione stia andando nella giusta direzione, appoggiandosi nella selezione delle startup a soggetti che già hanno stabilito al loro interno criteri selettivi (es. Digital Magics e LVenture Group). In un’ottica di “miglioramento continuo” questi criteri potrebbero essere volti non solo a individuare prodotti e soluzioni innovative, ma anche criteri manageriali etici (es. le B Corp).
Sull’organizzazione, il nostro “tallone d’Achille”, al momento nel nostro Paese sono presenti due associazioni FinTech (Assofintech e ItaliaFintech), una insurTech (Italian Insurtech Association – IIA) e svariate che coprono il mondo blockchain e delle criptovalute; la grandezza attuale del mercato non giustifica una proliferazione di questo tipo (la Spagna che ha una popolazione di 46 milioni di persone e più di 400 realtà FinTech ha una associazione che rappresenta gli interessi sia delle FinTech che delle InsurTech). Auspico che in un prossimo futuro ci possa essere un consolidamento e magari arrivare ad avere un unico interlocutore che si interfaccia con i diversi regolatori e gli enti preposti alla vigilanza.
Guardando all’indice di adozione fintech sviluppato da EY, vediamo che il nostro Paese ha una adozione del 51%, la Spagna del 56%, la Germania al 64%, il Regno Unito del 71% e i Paesi Bassi del 73%. L’adozione FinTech da parte dei consumatori negli altri Paesi non è imputabile all’introduzione di una lotteria degli scontrini o di un cashback di stato. Queste misure più che volte ad incrementare l’adozione e la diffusione del fintech nel nostro Paese sono state introdotte al contrasto dell’evasione fiscale. Il rischio è che invece di andare a risolvere un problema, rischiamo al contrario di esacerbarne un altro: la ludopatia. Per chi volesse approfondire il tema, segnalo l’articolo del dott. Ghiselli su Econopoly.
Nel tuo libro nuovo di zecca – #Fintech Expert. Contro il logorio della banca moderna – affronti, con il supporto di preziosissime interviste dei maggiori interlocutori e leader del settore, le varie sfide che le banche devono affrontare oggi. Una delle più recenti alimentata dall’emergenza pandemica e dalle misure restrittive è la mancanza di liquidità delle aziende. In che modo le FinTech italiane e le banche del nostro territorio si son mosse su questo fronte?
Per una volta hanno collaborato veramente e hanno vinto tutti.
Le banche sono riuscite a mobilitare velocemente il risparmio privato a supporto dell’economia reale; le startup – soprattutto quelle attive nel mondo dell’erogazione del credito e dello scoring di rischio – hanno aiutato le banche nel velocizzare i processi e le piccole e medie imprese in questo modo hanno avuto accesso a prodotti di finanziamento a medio lungo termine in tempi ridotti.
Alcuni esempi che abbiamo tracciato e monitorato con Fintastico negli scorsi mesi, sono state l’iniziativa “Italianonsiferma” di Banca Generali e Credimi, soluzione digitale che ha permesso alla banca del Leone di erogare finanziamenti ad aziende in difficoltà nel giro di pochi giorni. Operazione simile è quella siglata da Intesa SanPaolo e October. BorsaDelCredito.it specializzata nella tecnologia a supporto del credito alle micro, piccole e medie aziende ha invece stretto accordi con Azimut e Banca Valsabbina. Workinvoice che offre sul mercato un innovativo sistema di anticipo fatture ha lanciato insieme a Crif e PwC una piattaforma che permette di scambiare i crediti fiscali del super econobonus.
Uno degli effetti della pandemia è stato anche l’aumento dell’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico. Puoi illustrarci qualche esempio?
Un esempio è sicuramente quello del Comune di Milano (che è poi stato seguito anche da qualche altro comune) che si è affidato a due realtà FinTech (Soldo e Satispay) per l’erogazione dei buoni spesa per le famiglie in difficoltà a causa del Covid.
Con Soldo, il Comune accredita la somma su una delle carte prepagate emesse accettate all’interno del circuito Mastercard che sono utilizzabili in ogni esercizio commerciale fornito di POS (dall’inglese Point of sale, letteralmente “punto di vendita”), un dispositivo elettronico che consente di effettuare pagamenti mediante moneta elettronica (carte di credito, di debito o prepagate). Per chi volesse approfondire e scoprire cosa ha fatto Soldo durante la prima ondata della pandemia per aiutare i comuni, segnalo il loro report.
Con Satispay, gli aventi diritto, ottengono l’importo sul loro account e possono utilizzarlo nei tanti punti vendita che già accettano il sistema per gli acquisti. A novembre dello scorso anno, Satispay ha portato a termine con successo il più grande round di investimento FinTech nel nostro Paese (93 milioni di euro) con la partecipazione anche di TIM Ventures, il corporate venture capital (CVC) di TIM.
Che impatto avrà la finanza tecnologica nella gestione degli investimenti?
Il rapido sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha gettato le basi per la nascita di nuove soluzioni e mercati, favorito anche dalla regolamentazione (es. la PSD2). In questo contesto, anche il wealthtech, la declinazione del FinTech nel mondo della gestione degli investimenti, è in rapido sviluppo; ciò incentiva gli istituti finanziari a innovare i propri modelli di business seguendo due direttrici che vanno incontro alle nuove abitudini di consumo dei clienti: l’immediatezza della relazione e la personalizzazione.
Sono sicuro che nei prossimi anni vedremo da una parte la crescita delle soluzioni wealthtech (non per forza collegate a un istituto finanziario ma avviate da imprenditori digitali) e dall’altra la risposta degli istituti finanziari alla digitalizzazione con lo sviluppo del digital wealth management, l’evoluzione del loro attuale modello di servizio nel private banking.
Ecosistema delle criptovalute. Molti investitori si stanno avvicinando sempre più al mondo crypto. Quanto hanno inciso, secondo te, le iniziative dell’Unione europea verso questa nuova tendenza? Cosa aspettarci?
Sinceramente non molto. Secondo quanto dichiarato dalla Commissione Europea lo scorso settembre, l’UE sarà pronta a fornire un quadro giuridico per la gestione delle criptovalute entro il 2024. Nei documenti però non è chiaro a quali criptovalute si faccia riferimento e con quali modalità; il rischio che si stia parlando solo ed esclusivamente dell’Euro digitale è alto.
A cavallo tra il 2017 e il 2018 abbiamo vissuto la cosiddetta FOMO (Fear of missing out; letteralmente: “paura di essere tagliati fuori”) del retail, caratterizzata da molti investitori che si sono avvicinati al mondo delle crypto tramite le ICO (Initial coin offering, letteralmente offerta di moneta iniziale) che in oltre il 90% dei casi si sono rivelate essere delle truffe. La recente fase di interesse verso le criptovalute sembra essere guidata da una supposta FOMO delle imprese a seguito di alcune notizie di mercato che hanno visto grandi attori tecnologici e finanziari muoversi più o meno chiaramente all’interno del settore. Per esempio, PayPal con il suo annuncio dello scorso ottobre ha dichiarato che permetterà ai suoi clienti a partire dall’inizio di quest’anno, di poter acquistare acquistare, vendere e gestire criptovalute direttamente tramite la loro app.
La mossa di PayPal era nell’aria, Peter Thiel uno dei due co-fondatori (l’altro è Elon Musk) del gigante tecnologico dei pagamenti si è sempre dichiarato a favore di questa rivoluzione che va a braccetto con la sua ideologia di stampo anarco-capitalista contraria per esempio alle tasse viste solo come uno strumento confiscatorio. La natura decentralizzata di Bitcoin si sposa bene con l’anarco-capitalismo e non è un caso che i cosiddetti massimalisti Bitcoin, ossia i puristi del Bitcoin che disprezzano qualsiasi altra criptovaluta o progetto in questo ambito, sono spesso anche anarco-capitalisti o libertari, prendendo come punto di riferimento gli economisti della cosiddetta scuola austriaca.
Alle nostre latitudini, è dello scorso mese l’annuncio di Banca Generali che ha deciso di investire 14 milioni di dollari in Conio, il wallet made in Italy che permette di acquistare, vendere e gestire bitcoin. L’operazione permetterà un’ulteriore accelerazione alla diffusione delle criptovalute sul mercato italiano.
Per facilitare l’innovazione del mondo FinTech servono senza alcun dubbio modifiche normative importanti. A che punto siamo da un punto di vista regolamentare in Italia?
Se diamo uno sguardo al panorama globale, è chiaro che non c’è consenso su quali sono le modalità che un governo dovrebbe adottare per il sostegno e la crescita del settore FinTech e, a sua volta, quale dovrebbe essere il suo ruolo nel contesto più ampio del settore finanziario e l’economia nazionale.
Ad esempio, il governo del Regno Unito si è concentrato sul sostegno del settore FinTech attraverso una serie di incentivi finanziari e l’introduzione della “regulatory sandbox”, un regime normativo transitorio che deroga, entro certi limiti, alle ordinarie regole che disciplinano una determinata attività, ed è volto a favorire lo sviluppo imprenditoriale di nuove iniziative, specialmente nel settore FinTech.
A novembre dello scorso anno, anche la Spagna ha approvato in via definitiva la legge per la Trasformazione Digitale del settore finanziario, che prevede lo sviluppo di una sandbox. Questa azione consentirà la creazione di nuove iniziative nell’ecosistema FinTech, faciliterà l’accesso ai finanziamenti e promuoverà una maggiore concorrenza riducendo le barriere all’ingresso e creando nuovi posti di lavoro. L’associazione delle imprese fintech e insurtech spagnole (AEFI) ha stimato che con gli investimenti che attrarrà la sandbox, nel Paese iberico si genereranno circa 5.000 posti di lavoro stabili. Una notizia importante per la creazione di posti di lavoro dopo la crisi del coronavirus.
La prima volta che ho sentito parlare di sandbox nel nostro Paese è stata il 2019, dopo due anni siamo ancora in attesa di novità. Nel frattempo, qualche timido segnale positivo di miglioramento c’è stato, come per esempio il “Milano Hub”, il nuovo polo FinTech di Banca d’Italia; ma credo che la soluzione sia una sandbox a livello europeo.
Prima della Brexit, molte imprese FinTech europee e italiane dialogavano con la Financial Conduct Authority (corrispondente alla nostra Consob) per ottenere i passporting rights, dei diritti che consentono a banche, compagnie assicurative e società di servizi finanziari di svolgere la propria attività in qualsiasi paese dell’UE o dello spazio economico europeo (SEE), senza essere soggetti ad ulteriore autorizzazione da parte di ciascun Paese. Se vogliamo creare una Unione Europea dei mercati finanziari digitali, è necessario permettere alle imprese di internazionalizzarsi senza troppi cavilli legali o appesantimenti burocratici.
Dalle tue pagine emerge anche la necessità di figure professionali in grado di realizzare progetti di “change management” e innovazione. Quali sono alcune delle principali professioni in ambito FinTech? E quali opportunità ci sono nel mercato del lavoro?
Sicuramente lo Sviluppatore Blockchain, quello che nel libro definisco come “ribelle in casa”, soprattutto se lo immaginiamo nell’ottica di una banca o di una compagnia assicurativa. Oltre alla difficoltà di reperire questa figura professionale sul mercato del lavoro, c’è anche l’aggravante ideologica. Questo tipo di profilo professionale deve, se vuole svolgere bene il suo lavoro, condividere i principi per cui la tecnologia blockchain è nata. Tra questi, la sostituzione della centralizzazione del potere che molto spesso non è quello che le aziende vogliono raggiungere.
Altre che sono in forte crescita, per la loro capacità di estrarre valore e interpretare i dati sono quelle del Data Analyst e del Data Scientist. Il consiglio che voglio dare alle aziende che sono alla ricerca di questi profili è che in fase di selezione si accerti che il candidato ha le competenze che dichiara di avere; la sensazione è che troppo spesso un candidato tenda a utilizzare queste etichette perché attualmente hanno una maggiore appetibilità sul mercato del lavoro.
Nel libro Fintech Expert si possono capire quali sono i percorsi formativi per ogni professione in questo ambito e vengono elencate e indicate chiaramente la tipologia di competenze richieste. Il libro vuole dare indicazioni e consigli a una corposa fetta di dipendenti bancari e dipendenti del settore assicurativo, oltre a tutti quei giovani e lavoratori che sono interessati ad avviare o reindirizzare la propria carriera nel FinTech o più semplicemente migliorare le proprie competenze.
Lavorare in una realtà che offre servizi e prodotti innovativi legati all’ambito bancario – finanziario è sicuramente un’avventura entusiasmante ma allo stesso tempo può essere un’esperienza molto stressante. Ne ho viste tante e ho avuto la fortuna di lavorare da entrambe le parti della barricata: agli inizi della mia carriera nel FinTech nel 2013 ho iniziato come dipendente, poi nel 2017 ho lanciato la mia iniziativa e adesso sono co-fondatore di fintastico.com; nello stesso anno ho partecipato nel processo di creazione di Assofintech.
Quali i trend più promettenti?
La direttiva PSD2 che ha segnato l’inizio dell’era open banking vedrà quest’anno e nei prossimi anni una sua evoluzione: l’open finance. Oltre ai servizi bancari, questa evoluzione riguarderà anche player al di fuori del settore finanziario (es. sanità, mobilità, immobiliare), i quali potranno iniziare a sfruttare le opportunità offerte dall’open banking (esempio l’accesso ai dati per sviluppare prodotti migliori per i propri clienti) che a loro volta porteranno ad un incremento della competizione ma anche a un consolidamento del settore (incremento di operazioni di fusione e acquisizione).
Agli inizi del FinTech (per convenzione tendo a individuare gli esordi post crisi finanziaria del 2007/2008) gli attori tradizionali hanno adottato un approccio di contrapposizione al fenomeno FinTech; successivamente, abbiamo registrato una fase di coopetition o concorrenza cooperativa, dove si collabora su alcuni punti in comune e si compete su altri: una realtà che ancora oggi è il nostro presente dove i confini tra attori tradizionali e realtà più innovative son sempre più sfocati. Non è ormai inusuale vedere di fatto una realtà tradizionale annunciare il lancio della sua iniziativa FinTech! Strategia di marketing o osmosi? Lo vedremo nei prossimi anni.
Quello di cui sono convinto è che il fenomeno FinTech non si possa più ignorare e come ho scritto qualche giorno fa a un ragazzo che lavora in banca, il quale voleva maggiori informazioni sul mio libro e su come lavorare nel FinTech:”Prima o poi, tutti dovranno farne parte, solo che ancora non lo sanno“.
Per averne una copia, cliccate sul seguente link: https://www.francoangeli.it/