Complessivamente saranno trasferiti qualcosa come 30 miliardi di dollari alla First Republic Bank, che in questo periodo è in affanno per la fuga dei clienti. Questo è il progetto per salvare il gruppo bancario in difficoltà. A sostenere First Republic Bank saranno una trentina di banche statunitensi. La liquidità rimarrà parcheggiata per almeno centoventi giorni. Ricordiamo che per dare respiro al sistema bancario internazionale, ieri la banca centrale svizzera è intervenuta per far respirare il Credit Suisse con un’iniezione di circa 50 miliardi.
Se in Europa tutti i riflettori sono puntati sul crollo del colosso bancario svizzero, negli Stati Uniti, nel frattempo, è partito il piano di salvataggio di First Republic di San Francisco. Questo istituto, fino a poco tempo fa, risultava essere il più invidiato dell’intero sistema bancario statunitense: operava nella zona più ricca e dinamica del paese e tra i suoi clienti aveva gli imprenditori più facoltosi degli Stati Uniti, a cominciare da Mark Zuckerberg.
L’intervento sulla First Republic Bank
L’intervento da 30miliardi di dollari è la dimostrazione che la crisi del settore bancario va ben oltre al caso specifico della Silicon Valley, che è fallita una settimana fa. È anche vero, comunque, che quello che sta accadendo, in un certo senso, testimonia che il comparto ha una sua solidità di fondo. Il sistema, fino a questo momento, si è dimostrato deciso ad uscire da una situazione che, almeno oggettivamente parlando, risulta essere particolarmente difficile da affrontare.
Anche per la First Republic Bank, come per SVB, le perdite sono state accumulate a seguito del repentino aumento dei tassi di interesse. Anche se le condizioni di questa banca sono migliori rispetto a quelle della SVB. La First Republic Bank, nell’arco di pochi giorni, ha dovuto affrontare una corsa spaventosa agli sportelli e un calo del 70% del suo valore in Borsa. La capitalizzazione è scesa di 21 milioni di dollari dall’8 marzo alla giornata di ieri.
Nonostante le perdite accumulate, comunque, la First Republic Bank risulta essere una banca sana: questo è il motivo per il quale i principali istituti di credito statunitensi sono scesi in campo erogando prestiti per 30 miliardi di dollari, senza richiedere delle garanzie particolari.
Un salvataggio tutto interno
Questi fondi dovrebbero permettere a First Republic Bank di allentare la pressione dei depositanti spaventati e tornare a riuscire ad operare normalmente. Le prime undici banche Usa salvano, in estrema sintesi, la quattordicesima. J.P. Morgan, Citigroup, Bank of America e Wells Fargo, i primi quattro gruppi bancari statunitensi, hanno contribuito con 5 miliardi di dollari ciascuna. Goldman Sachs e Morgan Stanley verseranno altri cinque miliardi di dollari. Mellon, State Street, PNC, Trust e US Bank dovranno completare la cordata, versando i rimanenti cinque miliardi di dollari.
In altre parole il sistema creditizio statunitense si sta leccando le ferite. Ma soprattutto non sta chiedendo soldi ai contribuenti. SVB e Signature Bank vengono tenute in piedi grazie ai solidi ricevuti dalla FDIC, il fondo di garanzia delle banche, mentre per First Republic sono intervenuti direttamente gli istituti di credito. I quali ritengono di poter recuperare i loro soldi, una volta esaurita l’ondata di panico.
In questo periodo sono stati fatti molti parallelismi tra la crisi del 2008 e quella attuale. A dire il vero ci sono delle sostanziali differenze. Nel 2008 non si riusciva a trovare nessuno disposto ad acquistare da Lehman Brothers, che fu lasciata fallire. Questa volta, invece, sono bastati due giorni per riuscire a mettere in piedi una cordata di salvataggio.