New York – Avrà anche cantato vittoria l’azionario globale, ma il meglio come direbbe Barack Obama deve ancora arrivare. Anche se il presidente degli Stati Uniti d’America potrà rivendicare di aver vinto il primo round della guerra fiscale, convincendo dozzine di Repubblicani a votare per scongiurare il ‘fiscal cliff‘, la stretta da circa 600 miliardi di dollari che rischiava di peggiorare la congiuntura economica, è solo un primo passo di un percorso ancora lungo da percorrere.
L’accordo raggiunto ieri rischia, infatti, di alimentare una violenta resa dei conti nelle prossime settimane. I Repubblicani dicono a gran voce che l’intesa non è abbastanza per ridurre il fardello del deficit e promettono di dare battaglia quando si dovranno definire nuovi tagli alla spesa e l’aumento del tetto sulle emissioni di debito sovrano.
A loro favore gioca il fatto che, senza l’intesa, gli Stati Uniti rischierebbero il default o un nuovo declassamento da parte delle agenzie di rating, come è già accaduto nel 2011.
Da oggi hanno anche l’economista americano, Nouriel Roubini, a sorpresa dalla loro parte. Dalle colonne del Financial Times , il professore che ha previsto la grande crisi dei tempi moderni adesso ha puntato il dito contro gli Stati Uniti, dicendosi deluso dalla leadership del paese.
“L’accordo raggiunto a Washington il giorno di Capodanno ha impedito all’economia americana di cadere nel cosiddetto precipizio fiscale. Tuttavia, data la natura disfunzionale del sistema politico americano, non passerà molto tempo prima che ci sia un’altra crisi”, avverte sibillino. Il punto è uno solo.
“Né democratici né repubblicani riconoscono che il mantenimento di uno stato sociale giusto e necessario nella nostra epoca di globalizzazione comporta maggiori imposte per la classe media e per i ricchi”. Come dire: quell’accordo in realtà “ha esteso tagli fiscali insostenibili per il 98% degli americani e non è una vittoria“. Avrà ragione anche stavolta Roubini? Solo il tempo darà la risposta.
Intanto ci si mette anche l’agenzia di rating Moody’s, che afferma che il mini-compromesso raggiunto è stato un passo in avanti, che non fornisce tuttavia le basi per migliorare il rapporto debito/Pil, condizione fondamentale per evitare il downgrade.
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