La Cgil è scesa nei dettagli della riforma dell’imposizione sui redditi (flat tax), mettendo in luce le criticità dell’operazione per quanto riguarda l’equità sociale e le fonti di finanziamento (coperture).
Su quest’ultimo aspetto, il sindacato ha sottolineato che ridurre le tax expenditures (detrazioni e deduzioni) per finanziare parte della flat tax, “di fatto sarà una mera partita di giro; il legislatore toglierà un euro di sconto fiscale a qualcuno, per abbassare di un euro le tasse a qualcun altro”. Questo, senza contare che parte della flat tax (per circa 8 miliardi) sarebbe finanziata in disavanzo – nonostante lo spettro della procedura d’infrazione.
La riforma punta a ridurre le cinque aliquote Irpef (23%, 27%, 38%, 41% e 43%) a tre. Queste ultime “sarebbero pari a 15% la minima (fino a 50 o 60 mila euro) e 40% la massima (oltre i 100.000 euro)”, mentre non è chiara l’entità dell’aliquota centrale. Chi dovesse scoprire che con il nuovo sistema verrebbe a pagare di più, potrebbe mantenere (stando agli annunci) le vecchie regole. Per tale ragione, sostiene il sindacato “la riforma, nonostante gli annunci, non sarà una semplificazione ma l’introduzione di una ulteriore sistema impositivo concorrente e parallelo”.
Flat tax, a chi conviene
Il risparmio, in caso di realizzazione della flat tax, come previsto, sarebbe soprattutto per i redditi più elevati: per chi ha un reddito fino a 110 mila euro il risparmio sarà di 19mila euro; mentre chi si trova sotto i 18mila euro di reddito potrebbe trovare più conveniente rimanere con il vecchio sistema.
“Dai primi calcoli effettuati”, afferma il sindacato, “emerge una tendenza secondo la quale per una buona parte dei contribuenti a reddito basso potrebbe essere conveniente restare nel vecchio sistema”. Un lavoratore con reddito annuo lordo di 18.000 euro, e percettore degli 80 euro, paga oggi circa 1.870 euro di Irpef, si afferma nella nota, “con la nuova aliquota, cui aggiungiamo una deduzione di 4.000 euro come annunciato circa un anno fa, andrebbe a pagare 2.100 euro. Gli converrebbe rimanere nel vecchio sistema”.
Se buona parte dei ceti a basso reddito dovessero optare per rimanere nel vecchio sistema fiscale, verrebbero meno buona parte dei proventi stimati dal taglio alle tax expenditures, aumentando di fatto il costo della riforma fiscale. Se così fosse si “certificherebbe che si starebbero mobilitando risorse rilevanti (in questo fragile quadro di finanza pubblica) ad esclusivo vantaggio dei più abbienti, salvo una quota, minore e comunque regressiva, a beneficio dei redditi medi (26.000/50.000)”, ha concluso la Cgil.