Tassazione secca del 15% al posto di Irpef, addizionali e Irap per gli autonomi che nel 2018 sono sotto i 65 mila euro di ricavi e del 20% dal 2020 per le partite Iva che avranno fatturato nell’anno fiscale 2019 tra i 65 e i 100 mila euro. Queste le caratteristiche della flat tax, la tassazione piatta, destinata a diventare il regime fiscale naturale di professionisti e piccoli imprenditori, ma è un vero e proprio rompicapo e presenta alcuni svantaggi. Quali? Li elenca sul Corriere della Sera il professor Dario Stevanato dell’università di Trieste.
Così come è fatta non incentiva le partite Iva a crescere o a investire, il messaggio è ‘restate piccoli e in cambio nessuno vi disturberà’. In questo modo non si aiuta la nascita di forme più moderne di associazione professionale, anzi si destrutturano quelle che esistono. In più la possibilità concessa di non aggiungere l’Iva al costo della prestazione genera sul mercato una concorrenza sleale”.
Elemento critico della flat tax riguarda il gap di tassazione che ci sarà, a parità di reddito, tra un lavoratore dipendente e un autonomo. Così Andrea Dili presidente di Confprofessioni Lazio.
Dal punto di vista del datore di lavoro la tentazione di spingere un dipendente a licenziarsi, ad aprire una partita Iva e a versare i contributi alla gestione separata dell’Inps è fortissima. Gli costerebbe il 33% in meno. Insomma dal punto di vista del singolo lavoratore autonomo la flat tax costituisce un notevole vantaggio, mentre dal punto di vista sistemico si presenta come un guaio.
La flat tax? Stiamo discutendo al nostro interno e ci sono posizioni diverse – racconta Anna Soru, presidente di Acta l’associazione che rappresenta le partite Iva del terziario avanzato -. Il vantaggio fiscale per il singolo è indubbio ma ci preoccupano le distorsioni che si verranno a creare. Per superarle occorrerebbe che la flat tax fosse estesa a tutti, ma non credo che sia sostenibile per in la finanza pubblica».