Ci troviamo di fronte a prospettive cupe e incerte per l’economia mondiale. Non solo: il 2023 è a rischio recessione. A dare queste previsioni funeste è stato il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) nel suo “World Economic Outlook” di luglio, in cui si legge che la timida ripresa del 2021 è stata seguita da sviluppi sempre più cupi nel 2022, quando i rischi hanno iniziato a concretizzarsi.
La produzione mondiale si è contratta nel secondo trimestre di quest’anno, a causa della flessione in Cina e Russia, mentre la spesa per i consumi degli Stati Uniti è stata inferiore alle aspettative. Diversi shock hanno colpito l’economia mondiale già indebolita dalla pandemia scrive l’Fmi, secondo cui:
“Un’inflazione più alta del previsto in tutto il mondo – soprattutto negli Stati Uniti e nelle principali economie europee – che ha provocato un inasprimento delle condizioni finanziarie; un rallentamento peggiore del previsto in Cina, a causa delle epidemie e delle chiusure del Covid-19; ulteriori ricadute negative della guerra in Ucraina”.
Le previsioni sulla crescita mondiale
La previsione di base è che la crescita mondiale rallenti dal 6,1% dell’anno scorso al 3,2% nel 2022, 0,4 punti percentuali in meno rispetto al World Economic Outlook di aprile 2022. Il calo della crescita all’inizio dell’anno, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e la politica monetaria più restrittiva hanno determinato una revisione al ribasso di 1,4 punti percentuali negli Stati Uniti. In Cina, ulteriori chiusure e l’aggravarsi della crisi immobiliare hanno portato a una revisione al ribasso della crescita di 1,1 punti percentuali, con importanti ricadute a livello globale. In Europa, i significativi declassamenti riflettono le ripercussioni della guerra in Ucraina e della politica monetaria più restrittiva.
L‘inflazione globale è stata rivista al rialzo a causa dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia, nonché dei persistenti squilibri tra domanda e offerta, e si prevede che quest’anno raggiungerà il 6,6% nelle economie avanzate e il 9,5% nelle economie emergenti e in via di sviluppo, con revisioni al rialzo rispettivamente di 0,9 e 0,8 punti percentuali. Nel 2023 si prevede che la politica monetaria disinflazionistica si farà sentire, con una crescita del prodotto globale di appena il 2,9%.
I rischi per le prospettive sono prevalentemente orientati al ribasso. La guerra in Ucraina potrebbe portare a un’improvvisa interruzione delle importazioni europee di gas dalla Russia; l’inflazione potrebbe essere più difficile da ridurre del previsto se i mercati del lavoro sono più rigidi del previsto o se le aspettative di inflazione si sgonfiano; l’inasprimento delle condizioni finanziarie globali potrebbe indurre una sofferenza del debito nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo; le nuove epidemie di COVID-19 e le chiusure, nonché un’ulteriore escalation della crisi del settore immobiliare, potrebbero ulteriormente soffocare la crescita cinese; e la frammentazione geopolitica potrebbe ostacolare il commercio e la cooperazione globali. Uno scenario alternativo plausibile in cui i rischi si materializzano, l’inflazione aumenta ulteriormente e la crescita globale scende a circa il 2,6% e il 2,0% rispettivamente nel 2022 e nel 2023, porrebbe la crescita nell’ultimo 10% dei risultati ottenuti dal 1970.
Le stime dell’Fmi sulla crescita dell’Italia
Secondo il Fondo, il Pil dell’Italia quest’anno dovrebbe salire del 3% contro l’1,2% della Germania. L’Fmi, rispetto alle stime di aprile scorso, ha rialzato di 0,7 punti la crescita italiana nel 2022, ma l’ha al comtempo tagliata di un punto per il prossimo anno. Nel 2023 potrebbe, infatti, quasi fermarsi con un +0,7%. L’Fmi fornisce in ogni caso la sua ricetta per uscire dalla recessione, in primo luogo contenendo l’inflazione.
“Con l’aumento dei prezzi che continua a comprimere il tenore di vita in tutto il mondo, il contenimento dell’inflazione dovrebbe essere la prima priorità dei responsabili politici. Una politica monetaria più restrittiva avrà inevitabilmente dei costi economici reali, ma un ritardo non farà altro che aggravarli. Un sostegno fiscale mirato può contribuire ad attutire l’impatto sui soggetti più vulnerabili, ma con i bilanci pubblici messi a dura prova dalla pandemia e la necessità di una politica macroeconomica generale disinflazionistica, tali politiche dovranno essere compensate da un aumento delle tasse o da una riduzione della spesa pubblica.
L’inasprimento delle condizioni monetarie si ripercuoterà anche sulla stabilità finanziaria, richiedendo un uso oculato degli strumenti macroprudenziali e rendendo ancora più necessarie le riforme dei quadri di risoluzione del debito. Le politiche per affrontare gli impatti specifici sui prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari dovrebbero concentrarsi su quelli più colpiti senza distorcere i prezzi. Inoltre, con il perdurare della pandemia, i tassi di vaccinazione devono aumentare per difendersi da future varianti. Infine, la mitigazione del cambiamento climatico continua a richiedere un’azione multilaterale urgente per limitare le emissioni e aumentare gli investimenti per accelerare la transizione verde“.