MILANO (WSI) – Occhi puntati su due banche italiane che tengono alta l’attenzione dei mercati negli ultimi giorni. Si tratta di Unicredit e di Veneto banca: per la prima ci sarà molto presto un cambio al vertice con l’uscita di Federico Ghizzoni, mentre per la seconda è in atto il “sondaggio” tra gli investitori sull’aumento di capitale.
Partendo da Unicredit, a tenere banco nelle ultime ore il quasi certo ribaltone al vertice, con l’uscita dell’ad Federico Ghizzoni che al prossimo board straordinario della banca, fissato per domani martedì 24 maggio 2016 alle ore 16:00, potrebbe presentarsi come dimissionario rimanendo però in carica fino all’arrivo del suo successore.
L’incarico di ricercare il successore di Ghizzoni spetta al comitato governance con a capo Luca Cordero di Montezemolo. Opinione condivisa da tutti gli azionisti sembra quella di affidare Unicredit non a un banchiere d’affari ma ad un manager che sappia gestire la complessa macchina burocratica di un gruppo bancario che conta 130mila dipendenti.
Il fronte composto dagli arabi del fondo Aabar vorrebbe alla guida di Unicredit lo stesso Montezemolo ma il numero uno di Alitalia non sembra al momento disponibile. Ma altra questione all’ordine del giorno riguarda la buonuscita di Ghizzoni, anche se di cifre al momento non se ne parla.
L’altra incognita che spaventa i mercati è rappresentata da Veneto Banca alla luce dei primi risultati ottenuti sondando gli investitori per l’aumento di capitale. La domanda che ci si pone è se verrà a riproporsi una situazione come quella avvenuta per la Popolare Vicenza e quindi se si ci sarà l’intervento integrale del fondo Atlante. Come scrive Massimo Restelli in un articolo de Il Giornale:
“Atlante, nato con una dotazione di 4,3 miliardi, ne ha infatti già «bruciati» 1,7 per sventare il pericolo bail-in su Vicenza e se ne dovesse versare un altro in Veneto resterà con 1,7 miliardi. Non molti, pur considerando la leva, vista la missione di aiutare l’intero sistema bancario italiano a risvegliarsi dal coma di 80 miliardi di sofferenze nette. Cioè già considerate le svalutazioni. Il capo azienda di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, che garantisce l’aumento di Veneto tramite Imi, ha già lasciato intendere che se Atlante dovrà intervenire, è bene inghiotta da solo tutta la torta della ricapitalizzazione, così da avere poi mani libere per trovare uno sposo a Veneto Banca. Ma le manovre sono in corso, con il possibile interesse, malgrado le prese di distanza uffciali, sia di Ubi sia di Bper: l’ad della prima Victor Massiah ha comunque detto di non avere a momento dossier aperti, mentre quello della seconda Alessandro Vandelli non ha nascosto mire espansionistiche in Valtellina. Dove, vista la decisione di Popolare Sondrio di continuare a restare autonoma, gli osservatori scommettono sul Credito Valtellinese”.
Interessante poi l’analisi che Federico Fubini fa sul Corriere della Sera sulle banche venete e sul Veneto: la regione conta ben 13 banche in crisi.
Tra queste, CrediVeneto è in liquidazione, Pop Vicenza e Veneto Banca senza ricapitalizzazione sarebbero fallite. Cosa sta succedendo alla Regione nota per essere tra quelle che hanno trainato l’economia italiana negli ultimi decenni? Fa sicuramente riflettere la saga di CrediVeneto.
“Quella che fino a due settimane fa era CrediVeneto, e aveva un bilancio da oltre un miliardo, non interrompe i rapporti con la clientela neanche per un giorno. Ma da oggi in un altro angolo d’Italia i piccoli risparmiatori sanguinano in silenzio, senza aver capito bene perché. A Montagnana abitano 3.700 famiglie e avevano comprato le azioni della banca 6.400 risparmiatori e 1.500 imprese. Lo hanno fatto a prezzi gonfiati. Spesso lo hanno fatto dopo che CrediVeneto ha offerto credito a condizioni agevolate a chi poi ne avesse comprato le azioni, in sostanza praticando le stesse ricapitalizzazioni posticce di cui la Popolare di Vicenza è il caso più celebre. Non il solo, specie da queste parti. Perché il dilemma è esattamente questo: Montagnana è solo l’ ultimo segno di un mistero. Il Veneto ha un reddito per abitante del 14% superiore alla media italiana, una disoccupazione vicina alla media tedesca e una crescita dell’ export che nel 2015 ha battuto la Germania. Eppure sembra colpito da un virus che mina le banche con un’ intensità senza paragoni. Ci sono almeno tredici istituti con storie diverse, tutte però segnate dai sintomi di un male oscuro che investe una delle aree più dinamiche d’ Italia”.
Fubini si chiede come una regione così dinamica possa avere ben 13 banche con una storia così costellata da problemi bancari.
“È una densità di dissesti e perdite senza pari in Italia. E non è facile capire perché, ma alcuni indizi aiutano. La tempesta perfetta del Veneto ricorda quelle di altre economia dinamiche dell’ euro, la Spagna o l’ Irlanda. Con l’ avvio della moneta crollano i tassi d’ interesse e il credito alle imprese nella regione esplode fra il 1999 e il 2001 da 47 a 107 miliardi, a prezzi correnti: il Veneto pesa meno di un decimo dell’ economia italiana eppure concentra più di un decimo dei prestiti descrivibili come «produttivi». Il problema è che non lo sono, non sempre. Mentre il credito alle imprese venete compie un balzo del 125% nei primi dodici anni dell’ euro (sempre a prezzi correnti), l’ economia cresce appena del 39%. Ogni euro di prestiti ai produttori genera un reddito sempre minore. È il sintomo di una bolla e della qualità insufficiente degli investimenti, di cui il Veneto è solo un emblema nel Paese. La regione più dinamica diventa per l’Italia ciò che la Spagna o l’Irlanda sono state nell’ area euro, prima che fossero salvate”.
Fubini riporta anche il commento di Roberto Brazzale, leader dell’omonima azienda alimentare con 150 milioni di fatturato.
“La droga finanziaria ha gonfiato valutazioni e prestiti, che poi sono diventati crediti deteriorati per le banche”.
E Fubini aggiunge:
“Il passo dopo sono state le frodi e la difficoltà dei regolatori nel fermarle, proprio come è successo con la Banca di Spagna e la Banca d’ Irlanda”.