Economia

Fondi pensione: mentre in Europa tassa scende, in Italia raddoppia al 20%

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ROMA (WSI) – Nel nostro Paese assistiamo ad un paradosso, tra i tanti; le performance del risparmio puramente finanziario, come del resto in tutto il mondo, sono tassate a scadenza mentre quelle del risparmio previdenziale, costituzionalmente tutelato, subiscono, caso rarissimo tra i Paesi Ocse, una imposizione annuale.

In pratica chi sottoscrive un prodotto finanziario o assicurativo e lo tiene per 15 anni beneficierà di performance lorde e pagherà l’imposta sui rendimenti solo quando materialmente verrà in possesso dei suoi soldi (momento del riscatto finale); il sottoscrittore del fondo pensione che è per definizione uno strumento di medio lungo termine, paga invece l’imposta sui rendimenti ogni anno e nel caso di performance negative accumula un credito d’imposta, che potrebbe anche perdere, come è successo alle centinaia di migliaia di risparmiatori italiani sottoscrittori di fondi comuni quando anche questi (fino a qualche anno fa) erano tassati annualmente. Al di la delle grandi difficoltà di contabilizzazione dei fondi, come si vede c’è qualcosa che non quadra.

Questo differente sistema di tassazione riduce inoltre il già flebile vantaggio fiscale del risparmio previdenziale (che non è una rendita finanziaria) rispetto agli altri strumenti, oggi di soli 6 punti percentuali; già perché nella legge di stabilità il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno aumentato la tassazione dei fondi pensioni dall’11% al 20%. Eppure in tutta Europa si cerca di agevolare fiscalmente il cittadino che in modo Beveridgiano pensa al proprio futuro; in tutta Europa si è ormai imboccata la strada del welfare mix perché è chiaro che i sistema pubblici di protezione sociale, in primis quello pensionistico, non riusciranno a essere sufficienti.

I fondi pensione quindi sono molto importanti anche se qualche economista ritiene che le nostre pensioni pubbliche saranno sufficienti poiché il “tasso di sostituzione” (cioè il rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo reddito da attivo) è oltre il 70% per i lavoratori dipendenti. A parte la sovrastima insita nei conti della RGS, occorre considerare che su stipendi di mille o mille e cento euro il 65% fa più o meno 700 € cioè una pensione appena sopra la minima; ancor meno per gli autonomi e liberi professionisti. Secondo voi a chi si rivolgeranno quando ne avranno necessità? Inoltre la legge attuale prevede che per tutti i lavoratori che hanno iniziato l’attività dall’1/1/1996 non ci saranno più le integrazioni al minimo e le maggiorazioni sociali di cui oggi beneficiano quasi 5 milioni di pensionati su 16,5 milioni. Erodere le pensioni complementari tassando i rendimenti al 20% rende meno convenienti i fondi pensione, oltre ad aver ridotto la fiducia dei lavoratori nei confronti dello Stato che prima ti incentiva ad entrare nel sistema della previdenza complementare e poi, quando non ne puoi più uscire, ti tassa rimangiandosi il “patto” iniziale.

Sarebbe ingeneroso non riconoscere all’attuale Governo una capacità innovativa e propulsiva a favore dello sviluppo del Paese; un lavoro non ideologico che vi ha portato anche a correggere in corsa alcuni provvedimenti sbagliati e di cui vi va dato atto. Proprio per questo auspico che con la delega fiscale il regime di tassazione dei fondi pensione possa tornare ad essere incentivante e ciò andrà sicuramente a favore dei lavoratori ma anche dello Stato e del Paese che di queste risorse potrà beneficiare. La vera politica è di lungo periodo; avere un piano nazionale di welfare mix di lungo termine conferisce sostanza alla politica stessa.

Online si può firmare la petizione per opporsi alle tasse sui fondi pensione.

Fonte: Giornata Nazionale della Previdenza