I Piani Individuali di Risparmio (Pir) introdotti con l’ultima legge di bilancio sono stati un’idea ottima e stanno sostenendo la Borsa italiana. Tuttavia ci sono dei difetti nel loro utilizzo. In particolare, sono poche le piccole e medie imprese che hanno poca voglia di quotarsi in Borsa, nel segmento dedicato alle Pmi, le aziende che avrebbero dovuto essere le maggiori utilizzatrici dei Pir. Quelle che lo hanno fatto dall’inizio dell’anno sono solo sette.
Lo rilevano gli interventi dell’ultimo appuntamento della rassegna “Economia sotto l’ombrellone”, organizzata da Eo Ipso Comunicazione ed Eventi, che si è tenuta lo scorso 23 agosto e ha visto la partecipazione di Gilberto Bassi, partner manager di Copernico Sim, Mario Fumei, private banker, e Pierluigi Lotti, consulente finanziario. A dissuadere le Pmi sarebbero soprattutto la mostruosa burocrazia e i costi elevati della quotazione. Così spiega Pierluigi Lotti:
“I Pir, avendo un programma quinquennale, continueranno a portare denaro verso le aziende, tanto più che non essendo soggetti a tassa di successione in molti li stanno usando anche per regolare i passaggi generazionali, ma saranno un successo se le banche non si limiteranno solo a comprare le azioni delle Pmi italiane, ma saranno in grado di guidarle alla quotazione in Borsa. In questo momento, però, si tratta di un percorso molto complicato. I Pir sarebbero stati una grossa opportunità se il legislatore avesse pensato a un percorso semplificato per la quotazione, ma così purtroppo non è”.
I tre relatori hanno parlato anche del quadro mondiale difficile che attende gli investitori nell’anno a venire. I rischi potrebbero arrivare dalle politiche statunitensi, dalla crescita della Cina che rallenta ma continua a essere imponente, dagli effetti della Brexit. Sulla Borsa italiana, una delle più brillanti del continente negli ultimi tempi, è necessaria comunque prudenza e bisogna tenere in considerazione il debito pubblico in crescita. Quello che è necessario in ogni caso è una maggiore preparazione in campo finanziario degli italiani, ora 37esimi in Europa in quanto a cultura finanziaria.
Le conoscenze scarse in campo finanziario “potrebbero essere deleterie per ciò che potrebbe succedere sulle obbligazioni se, come è prevedibile, aumenteranno i tassi di interesse: molti confidano sull’assenza di rischio delle obbligazioni e dei titoli governativi, mentre in caso di un aumento dei tassi si troveranno ad affrontare perdite anche ingenti se dovranno vendere i titoli”, ha spiegato Mario Fumei.