Nonostante la complessiva ripresa dei mercati azionari dei Paesi emergenti da inizio anno, le rispettive valute nazionali non hanno sperimentato un apprezzamento sensibile. Il dollaro, nonostante la virata in chiave più morbida della Fed, ha mantenuto la sua forza rispetto al paniere di valute EM, tracciato dal MSCI EM Currency Index. Da inizio anno, al contrario, questo indicatore risulta in territorio negativo a fronte di un rialzo del 3% del corrispettivo indice azionario EM. (Grafico in basso).
Secondo l’Institute of International Finance, la mancata reazione delle valute EM al nuovo corso della Fed potrebbe essere giustificata da un fenomeno descritto come “sporgenza di posizionamento”. In sostanza, i gestori avrebbero già fatto scorta sufficiente delle monete dei Paesi emergenti durante i vari anni caratterizzati dalle politiche monetarie espansive delle banche centrali dei Paesi avanzati. Per questo, si sostiene, ogni nuova virata dovish da parte della Fed ha avuto effetti meno pronunciati nel dare slancio al cambio delle valute nazionali EM.
E’ però un argomento che non convince Kiran Kowshik, strategist EM FX research di UniCredit, dal momento che gli investimenti diretti in entrata sono stagnanti – conseguenza di prospettive di crescita economica in rallentamento. Sarebbero questi i fattori fondamentali in grado di guidare l’andamento dei cambi, rispetto alle reazioni immediate dovute alla Fed.
Un altro aspetto messo in luce da Kowshik, intervenuto su Bloomberg, è che le monete dei Paesi emergenti non andrebbero considerate come un blocco unico. Le situazioni degli investimenti diretti in entrata (Fdi) e delle varie bilance correnti sono diverse: maggiore resilienza è stata osservata fra le monete dei Paesi e asiatici e, aggiunge il ricercatore di UniCredit, dal rublo russo.