ROMA (WSI) – In quella valle di lacrime che è Forza Italia, scioccata dal voto, qualcuno se la ride, addirittura festeggia. Quel «qualcuno» si chiama Raffaele Fitto, 44 anni, pugliese di Maglie (piccola patria di Aldo Moro), già ministro degli Affari regionali con Berlusconi.
Per un soffio non ha conquistato il record delle preferenze, che si aggiudica la democratica Bonafè.
Comunque Fitto di suffragi alla sua persona ne ha rastrellati 284mila, di gran lunga il più votato nel suo partito, quasi due volte Giovanni Toti. Il quale Toti è consigliere politico del Capo, in pratica dopo Berlusconi il personaggio più in vista.
Sulla carta dunque sarebbe dovuto accadere il contrario: Fitto doppiato da Toti, politicamente raccomandatissimo, per il quale tra l’altro la Gelmini si è battuta in Lombardia senza risparmio e lo stesso Berlusconi si è prodigato con ogni mezzo. Invece non è andata così.
Tra i due galli del pollaio di Arcore, i numeri hanno vistosamente premiato quello del Sud (sebbene nemmeno Toti se la sia cavata poi tanto male, anzi nel naufragio generale gli è andata di lusso considerato oltretutto che al Nord le preferenze sono merce rara, molto più rara che nel Mezzogiorno dove è quasi la regola «adottare» un politico).
Insomma, con il suo exploit Fitto ha collocato una mina sotto le gerarchie interne già sufficientemente terremotate dalle scissioni. E non si è accontentato di arrivare primo: l’ha voluto pure sbandierare ai quattro venti suscitando, da Arcore in giù, una certa irritazione.
A cominciare da Verdini e Gasparri, sono stati in molti a consigliargli «lascia perdere, evita per favore di rimarcare troppo»; ma inutilmente perché Fitto è così, orgoglioso e testone, voleva a tutti costi mettere in chiaro che se un domani si votasse per il dopo-Berlusconi, in quel caso lui partirebbe davanti a tutti gli altri pretendenti.
Ha tenuto una conferenza stampa nella sede di San Lorenzo in Lucina, ha concesso interviste, ha fatto una raffica di dichiarazioni. Insinuano gli avversari interni che il successo gli abbia dato una certa euforia, prova ne siano le sue congratulazioni a Renzi per la vittoria che fanno il paio con quelle di Berlusconi, e la replica da pari a pari ad Alfano.
Col quale non corre buon sangue. Un tempo erano amicissimi, quasi gemelli; poi dopo le scorse elezioni litigarono, Raffaele si sentì snobbato da Angelino e di lì prese il via una irriducibile inimicizia.
Fitto è arrivato al punto di invocare le primarie per la futura leadership. Adesso c’è Berlusconi, ha frenato un attimo prima della collisione, ma «in futuro tutti gli strumenti utili per compiere le nostre scelte non potranno che essere frutto di una legittimazione popolare…». Linguaggio politico d’altri tempi, dove si riconosce l’«imprinting» democristiano (Toti invece, da giornalista, si esprime con un linguaggio più mediatico). Davvero le primarie sono dietro l’angolo? Agli amici, Fitto confida che solleverà la questione domani, nell’ufficio di presidenza convocato a Palazzo Grazioli. O quantomeno ci proverà, perché rischia di sbattere contro un muro: il muro di Berlusconi. Che non è dell’umore giusto per ragionare adesso della propria successione.
L’ex premier viene descritto in queste ore come profondamente «offeso dal voto». Risentito con gli italiani che non l’hanno sorretto. Con Alfano che l’ha tradito. Con i giudici che prima l’hanno condannato e poi gli hanno legato le mani. Con Napolitano che non ha concesso la grazia… La colpa della disfatta è di tutti, tranne che di Berlusconi medesimo. Tanto che l’uomo già si ripropone come successore di se stesso: «Ripartirò anche stavolta… Lavorerò per ricomporre la perduta unità dei moderati… Risultato inferiore alle attese, ma saremo pur sempre decisivi per le riforme…».
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