Roma (WSI) – Questa volta non è da Oltremanica dove gli euroscettici del partito Ukip nelle elezioni locali di giovedì scorso in Inghilterra e Galles hanno ottenuto un successo esplosivo sulla scena politica britannica, ma è dalla Germania che soffia sempre più forte aria di fronda contro il progetto dell’Europa unita.
Anche chi è stato fra i più strenui sostenitori dell’euro sta cambiando idea. E’ il caso di Oskar Lafontaine, l’ex ministro delle finanze tedesco, le cui parole fanno eco a quelle pronunciate dal capo del Tesoro francese, Pierre Moscovici, secondo cui “e’ giunta la fine del dogma of austerity”.
Ebbene, fra il 1998 e il 1999 ha lavorato alacremente nella squadra che si è occupata di supervisionare il varo dell’euro; oggi è un’altra storia: è finito a militare nelle fila dei più accesi euroscettici. Come ricordato dal giornalista Ambrose Evans-Prithard del quotidiano britannico The Telegraph, Lafontaine è arrivato a chiedere un break-up della moneta unica per consentire che l’Europa meridionale possa tornare a crescere. (e Wall Street Italia aveva infatti parlato del caso Fontaine.
“La situazione economica sta peggiorando di mese in mese, la disoccupazione ha raggiunto livelli che mettono in dubbio la democrazia”, ha denunciato. A suo avviso “i tedeschi non hanno ancora capito che l’Europa meridionale, tra cui anche la Francia sarà costretta per uscire dallo stato di miseria a combattere contro l’egemonia tedesca prima o poi”, colpevole di guadagnare continuamente quote sull’export.
Lafontaine sul sito web del Partito della Sinistra tedesca si è rivolto direttamente alla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, dicendole di svegliarsi dal suo torpore ipocrita e di pensare per una volta anche ai Paesi in difficoltà per forzare un cambiamento nella politica a spese degli elettori tedeschi.
Una tesi forte che si ritrova nelle dichiarazioni del ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici che ha chiesto la fine delle politiche di austerità, perché non ci siano strappi nelle relazioni fra Parigi e Berlino.
Sempre più economisti osservano che la moneta comune avrebbe potuto essere sostenibile se i Paesi della zona euro avessero concordato una politica salariale comunitaria. Invece così non è stato perché – spiegano – “le istituzioni stabilite per il coordinamento sono state aggirate dai governi e oggi il sistema non funziona”. Una recente analisi riportata dal quotidiano, Handelsblatt, ha segnalato come Grecia, Portogallo o Spagna dovrebbero contrarre i loro salari del 20-30% per essere di nuovo competitivi, mentre la Germania dovrebbe apprezzarli di un ulteriore 20%.
Qualche esperto di mercato ammette l’evidenza e riconosce che “se apprezzamenti e svalutazioni in tal senso non sono possibili, è meglio dire addio alla moneta comune“. In fondo “sarà necessario imporre rigorosi controlli di capitale per regolare i flussi di capitale. Ma dopo tutto – ricorda – l’Europa ha già compiuto questo primo passo con il caso Cipro”.
Durante il periodo di transizione, l’Unione europea dovrà fornire aiuti ai Paesi che dovranno effettuare svalutazioni per evitare un collasso. Ma c’è anche qualche economista che abbozza a una soluzione.
“Una pre-condizione per far funzionare il sistema monetario europeo sarebbe quello di riformare il settore finanziario come se fosse una cassa di risparmio pubblica”. Come ricorda la saggezza popolare, la speranza è sempre l’ultima a morire, ma gli ultimi dati macro sulla disoccupazione in Europa la soffocano.