NEW YORK (WSI) – Dopo la pausa per il Presidents Day, la Borsa Usa chiude in rialzo. Quella odierna, la prima dopo un lungo weekend di festa che ieri aveva tenuto i mercato Usa chiusi, e’ la seconda seduta di fila in rialzo. Nel finale: il Dow Jones guadagna +222 punti (+1,39% a 16.196 punti), bene anche lo S&P 500 e il Nasdaq, che segnano rispettivamente l’1,67% e il 2,27%.
Per una volta gli investitori hanno deciso di ignorare i cali registrati dal petrolio nonostante un’accordo tra Arabia Saudita, Russia, Venezuela e Qatar per tenere la produzione di greggio sui livelli del mese scorso. L’intesa prevede che altri Paesi facciano altrettanto, scenario giudicato come improbabile dagli analisti.
Il focus si sposta ora sui verbali della riunione della Federal Reserve di fine gennaio, che verranno diffusi domani quando in Italia saranno le 20. Gli economisti si aspettano che i membri del board della banca centrale Usa abbiano rinunciato ad alzare i tassi quattro volte nel 2016 come avevano indicato lo scorso dicembre, quando decisero la prima stretta monetaria dal giugno 2006.
Prosegue il rally che si era visto venerdì scorso in Usa, dove gli investitori soltanto oggi hanno la possibilità di reagire alle parole “dovish” pronunciate ieri dal governatore della Banca centrale europea. Mario Draghi ha ribadito che l’Eurotower “non esiterà ad agire” se la turbolenza sui mercati finanziari o se il crollo dei prezzi energetici dovesse destabilizzare i prezzi al consumo. Aiuta la corsa dei listini cinesi, tornati agli scambi da due giorni dopo la pausa legata al Nuovo Anno Lunare, mentre oggi le piazze europee non si mettono in evidenza.
D’altra parte il petrolio non sta facendo da traino: e’ venuto meno lo slancio osservato nell’overnight sulla scia di un accordo preliminare raggiunto dai quattro principali produttori di greggio al mondo per congelare la produzione ai livelli del mese scorso. L’intesa siglata a Doha tra l’Arabia Saudita, il Qatar, il Venezuela (tutti e tre parte dell’Opec) e la Russia (che del cartello non fa parte) e’ vista in parte come un passo significativo verso un coordinamento per sostenere i prezzi del barile; allo stesso tempo pero’ quell’intesa richiede che altri produttori facciano altrettanto.
Peccato che Iran e Iraq non sembrino intenzionati a farlo. E anche se lo fossero, osservano gli analisti, il congelamento della produzione ai livelli attuali non è visto come il rimedio sperato dato che dal giugno 2014 i prezzi del greggio sono scesi del 70%. Le scorte mondiali sono in eccesso e la crescita della domanda in paesi come la Cina sta rallentando.
Dal fronte macroeconomico, è arrivata la dimostrazione di come un dollaro forte e un rallentameno della crescita estera continui a pesare sul settore manifatturiero: nello Stato di New York continua a contrarsi, un trend iniziato lo scorso agosto. L’indice Empire State Factory a febbraio (-16,64) è migliorato rispetto a gennaio (-19,37), ma non abbastanza per soddisfare gli analisti (le attese erano per un -10).
Secondo alcuni analisti dopo i pesanti cali di inizio anno, i mercati azionari sono entrati in un terreno di ipervenduto. I rialzi di colossi petroliferi come Chevron e Exxon Mobil contribuiscono a sostenere le Borse.
I titoli delle big della finanza Goldman Sachs e Morgan Stanley salgono dopo le promozioni dei loro rating da parte degli analisti. Entrambi i gruppi sono stati promossi da JP Morgan a ‘Overweight’.
Sempre restando tra le materie prime, le quotazioni dell’oro cedono 20 dollari pieni.
Sul valutario, il biglietto verde cede terreno con la maggior parte delle divise rivali: il Dollar Index cede lo 0,05% a 96,58 punti.
(Immagine: StockCharts)